Nata per contrastare gli incendi boschivi che a quel tempo imperversavano tra Caralte e la val d’Oten, quarant’anni dopo l’associazione di protezione civile Antelao di Pieve è diventata grande, al punto da parlare la lingua del volontariato internazionale. Era il 14 febbraio 1984.Quarant’anni dopo è tempo non solo di festeggiare l’importante traguardo, ma anche di tracciare un bilancio su come sono cambiati tempi e modi di intervento. «Il contrasto agli incendi boschivi resta una delle principali mansioni», racconta l’attuale presidente Giuseppe Frescura, «ma nel corso di questi quarant’anni tante cose sono cambiate. La tecnologia ha preso il sopravvento, i mutamenti climatici e l’aumento del rischio idrogeologico della montagna hanno fatto il resto. Ci ritroviamo così ad intervenire un giorno con la motopompa per togliere acqua ed il giorno successivo per spegnere un incendio. Sembra un paradosso, ma è la realtà.
Specchio dei tempi moderni che, soprattutto in montagna, significano attenzione e, soprattutto, necessità costante di prevenzione». Riavvolgendo il nastro, quali sono le tappe principali della storia quarantennale dell’associazione?
«La crescita è stata costante, caratterizzata da grandi interventi ma anche da una formazione continua e sempre al passo con i tempi. Siamo partiti dagli incendi boschivi, siamo arrivati ad essere chiamati in causa nei fatti tragici più eclatanti del territorio nazionale come Senigallia oppure la recente alluvione in Emilia Romagna, ma anche all’estero. Siamo reduci dal completamento di un progetto di sistemazione di ponti in Slovenia dopo che questi ultimi erano stati spazzati via da un’ondata furiosa di maltempo. Di fronte al rischio idrogeologico non c’è bandiera o confine che tenga. Noi cadorini, peraltro, conosciamo bene questi fenomeni. Oggi tocca a noi, domani tocca ad altri. Per questo motivo, quando veniamo chiamati in causa, la risposta è sempre “sì” . Domani potrebbe servire aiuto a noi, come peraltro già successo. La solidarietà è reciproca».
Da quante figure è composta la vostra squadra?
«Oggi siamo una quindicina, ma si può dire che abbiamo le porte girevoli perché non è sempre facile poter contare su tutti gli effettivi. La difficoltà nel reperire volontari è sempre più evidente. I giovani hanno altri interessi, poi ci sono gli impegni di lavoro. L’auspicio, per il futuro, non solo è quello di vedere nuovi giovani affacciarsi alla nostra realtà ma anche poter incontrare la collaborazione delle aziende, soprattutto quelle più grandi. Le stesse che non sempre concedono la possibilità ai propri dipendenti, volontari delle squadre di protezione civile, di poter abbandonare temporaneamente il proprio posto di lavoro per correre in soccorso di chi ne ha bisogno».
C’è un evento che ricorda con maggiore emozione?
«Ogni intervento ha una sua storia, fatta di legami e rapporti umani che si instaurano. Il bello del volontariato è proprio questo».
