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Non ci fu corruzione, parla Giuliano Vidoni: «Avrei preferito essere condannato e avere l’azienda salva»

Non ci fu corruzione, parla Giuliano Vidoni: «Avrei preferito essere condannato e avere l’azienda salva»

Dieci dall’avvio dell’inchiesta della Procura di Roma sul sistema corruttivo ordito all’interno dell’Anas, l’imprenditore Vidoni torna a parlare dalla battaglia legale: «Ho perso tutto per colpe non mie»

L’appuntamento è in via Aquileia, al Gran Caffè Friuli. Otto anni dopo l’ultima intervista, in viale Palmanova, al Messaggero Veneto. Dieci dall’avvio dell’inchiesta della Procura di Roma sul sistema corruttivo ordito all’interno dell’Anas dall’allora responsabile del coordinamento tecnico-amministrativo, Antonella Accroglianò, ribattezzata la “Dama Nera”.

Inchiesta che ha portato al fallimento della Vidoni Spa e all’arresto di Giuliano Vidoni. Pochi giorni fa, e dopo nove anni di battaglie legali, Vidoni è stato prosciolto dall’accusa di corruzione. Quando arrivo è seduto nel primo tavolino, a sinistra, sull’ingresso. Ha già bevuto un caffè.

Come va?

«Un po’ meglio».

Il proscioglimento non l’ha ripaga?

«Se mi avessero condannato pur da innocente, ma avessi salvato l’azienda sarei stato più felice. Invece mi hanno prosciolto, ma la mia azienda non c’è più».

È stata un’ingiustizia?

«Io penso di sì».

Perché?

«Perché per colpe non mie mi sono ritrovato a subire un’accusa di corruzione da cui ho dovuto difendermi con tenacia. Accusa rivelatasi, poi, sbagliata e che al contempo mi ha fatto perdere l’azienda: non ha più incassato somme che le spettavano e i mancati incassi sono alla base del mio arresto e dell’accusa che ho subito».

Si spieghi meglio.

«Riassumo così: Anas non paga per anni crediti che l’azienda della mia famiglia vanta e al contempo obbliga l’azienda a proseguire i lavori che ha sottoscritto, minacciando rescissioni di contratti che avrebbero comportato la possibilità di partecipare ad altre gare di appalto pubbliche e, quindi, il venir meno dell’attività principale dell’azienda, con il conseguente fallimento.

In questo contesto mi ritrovo esposto alle pressioni, alle richieste e ai ricatti che una funzionaria dell’ente pubblico fa nei miei confronti affinché io versi una tangente per incassare quanto mi spetta e non veda la mia azienda andare in rovina.

L’azienda entra in una spirale di sempre maggiori difficoltà date, appunto, dai mancati pagamenti di Anas è costretta a cercare la via di un concordato preventivo che, però, è respinto dal Tribunale fallimentare, anche alla luce del presupposto che Anas – vista l’accusa di corruzione e il mio arresto – contesta i crediti vantati dalla Vidoni e pertanto il giudice non crede all’incasso di tali somme. E, se a questo punto, sposto l’attenzione sulla procura che mi ha arrestato, mi sento dire “non sapevo che questo potesse generare un impatto così grave sull’azienda. Ho contestato un reato che può essere vero o falso”».

Un vortice letale.

«L’azienda, che era sana e aveva lavoro per il futuro si trova a non incassare somme enormi, e nel contempo è costretta a non interrompere i lavori. Ma lavorando senza incassare deve indebitarsi sempre più per sostenere le spese crescenti e, così facendo, aggrava la propria posizione e la possibilità di avere una continuità aziendale che infatti viene meno.

Non basta: per difendersi e cercare di mantenere in vita un’azienda storica fatta di persone con elevato know how, mezzi e macchinari tecnici, portafoglio lavori per sé stessa e per un rilevante indotto, cerca un concordato preventivo basato sull’esecuzione dell’importante portafoglio ordini e sull’incasso dei propri crediti vantati verso Anas, ma come detto il concordato preventivo, che avrebbe garantito la continuità aziendale, è stato respinto. Tutto questo aggravato da due episodi».

Il primo.

«Che a distanza di tanti anni, soltanto dopo il fallimento, Anas ha dato corso al pagamento dei crediti che la Vidoni vantava. Questa è la dimostrazione che quanto l’azienda chiedeva era più che legittimo».

Anas ha pagato tutto quello che doveva alla Vidoni?

«A quanto so, ha accettato una transazione conveniente, che non potesse essere contestata dalla Corte dei Conti, ma che comunque era superiore a quanto previsto nel piano di concordato preventivo presentato al tribunale fallimentare e che rappresenta un importo di molti milioni di euro. Mi limito a dire che, qualora, l’azienda fosse rimasta in vita non avrebbe mai accettato tale transazione in quanto fortemente conveniente per l’ente pubblico. Ma ciò nonostante devo constatare che se l’azienda avesse incassato, nei tempi corretti, anche solo le somme transate dopo il fallimento non avrebbe avuto alcun problema: sarebbe stata in grado di onorare i propri debiti, proseguendo la propria attività».

Quanti soldi le doveva?

«Sessanta milioni».

Il secondo episodio?

«Che essendo stato prosciolto dall’accusa di corruzione si è confermata la situazione di ricatto di cui mi sono ritrovato vittima soltanto per veder riconosciuto quanto spettava all’azienda».

Le hanno contestato anche il falso in bilancio.

«Un’altra contraddizione. Quando la società è fallita sono state aperte due procedure: una riguardava la Vidoni, l’altra la Firmo Sibari, la controllata. In entrambe i casi non c’è stata nessuna condanna relativa all’accusa di falso in bilancio, anzi, proprio tale assoluzione unitamente ai pagamenti avvenuti poi nel corso del fallimento da parte di Anas hanno confermato la correttezza dell’iscrizione di tali crediti nel bilancio della società».

Senta Vidoni, in tutta questa vicenda lei è l’unico ad essere stato prosciolto. Gli altri dodici sono stati tutti condannati: da 7 a 4 anni. Antonella Accroglianò ha patteggiato 4 anni e 4 mesi. Come lo spiega?

«Sono finito nel calderone sbagliato».

Un caso?

«Non lo so».

Com’è riuscito a dimostrare che lei è stato costretto a pagare quei 150 mila euro?

«L’avvocato Luca Ponti, assieme al collega Gianluca Tognozzi, tra le altre cose, ha fatto un lavoro mirabile di ricerca riuscendo anche a reperire un documento molto importante, poi, prodotto nel processo, dove il responsabile unico, di nomina Anas, di un procedimento di accordo bonario di un cantiere scrive all’Anas stessa una comunicazione riservata dicendo che la Vidoni aveva diritto ad incassare una parte rilevante dei crediti richiesti per quel cantiere.

Nonostante questo documento interno, non soltanto non siamo mai stati pagati, ma non è stata neppure istituita la commissione. Quando mi è stata chiesta una tangente, pur di sbloccare la situazione, sono stato costretto a pagare».

Dove ha preso quei 150 mila euro?

«Ho dovuto fare un debito personale perché era un impegno che mi prendevo io, personalmente, per la salvezza dell’azienda, ma non potevo e non volevo che fossero usati soldi della stessa società. Oltre al danno di aver perso l’azienda e di essere stato oggetto di questa indagine per corruzione, anche la beffa di aver perso questi soldi personali».

Quando è stato ricattato perché non ha denunciato?

«Teoricamente sarebbe stata la cosa giusta da fare. Praticamente no. Sarei dovuto andare in procura e dire che mi era stata chiesta una tangente. Dovevo portare delle prove. Registrazioni. Video. Dimostrare che i “biscotti” che mi chiedevano, in realtà, erano soldi. Avrei dovuto, quindi, fare interpretare delle parole.

Convinto il pubblico ministero ad aprire un procedimento; avrei dovuto attendere i tempi tecnici della giustizia, periodo in cui non sei pagato e senza soldi e impossibilitato a pagare diventi uno da evitare. Un infame. Nessuno vuole più lavorare con te. Ci ho messo nove anni per dimostrare che sono stato costretto a fare quello che ho fatto e che l’ho fatto nella speranza di salvare l’azienda. Inutilmente».

Quanto male è stato?

«Tantissimo. E ancora adesso non mi do pace. La Vidoni era un’azienda sana aveva oltre 250 collaboratori, cui sono ancora molto legato, molti dei quali spesso in questi anni difficili non hanno smesso di manifestarmi, a differenza di altri, la loro vicinanza. Un’azienda con decine di anni di storia che ha lavorato in Italia e all’estero. Mi avessero pagato non sarei stato ingiustamente arrestato, non ci sarebbero stati il processo per bancarotta e per corruzione».

Come ha vissuto questi anni?

«Come vive uno cui precipita il mondo addosso. Le persone mi hanno evitato, alcuni cambiavano marciapiede, molti mi hanno girato le spalle. Mi sono ammalato: sono stato operato al cuore. Ma non ho mai perso la voglia di combattere per vedere i riconosciute le mie ragioni pur nella disperazione di aver perso il lavoro di tutta la mia vita»

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