«Il prossimo presidente del Veneto? Per Forza Italia ha già un volto e un nome: si chiama Flavio Tosi». A Padova, il ministro degli Esteri Antonio Tajani conclude un intenso tour elettorale nordestino dispensando ottimismo ai sodali: «Ovunque sento crescere la fiducia intorno ai nostri candidati, la sera del 9 giugno confidiamo in un risultato straordinario. Doppia cifra? Senz’altro»
. Al suo fianco, oltre al proconsole veronese che fiuta il sospirato sorpasso sulla Lega, il veterano Piergiorgio Cortelazzo, Luca Callegaro dirigente locale degli azzurri e il candidato a Bruxelles Giampiero Avruscio.
Giorni fa, l’impegno dichiarato a «vigilare» sull’autonomia differenziata ha irritato Luca Zaia, lesto a puntualizzare che «la riforma è figlia della Costituzione, non della Banda Bassotti». «Nessuno ha parlato di bande, mi sembra un’excusatio non petita», replica Tajani «io ho semplicemente affermato che il percorso federalista dovrà assicurare eguali diritti a Milano e a Reggio Calabria, ai cittadini veneti e a quelli della Campania. Siamo persone serie, ricordo che a fronte delle assenze altrui in commissione Affari costituzionali, a salvare il disegno di legge è stato il nostro presidente, Nazario Pagano, abruzzese. Ma non consentiremo figli e figliastri, vigilare è nostro diritto e dovere ed è quanto faremo».
Sopravvissuto, contro ogni previsione, alla scomparsa del Cavaliere, il partito azzurro gioca la carta rassicurante della moderazione a fronte degli strepiti alleati: «Credo che agli elettori importi ben poco se sulla scheda si scrive Giorgia o Generale, gli italiani esigono risposte concrete, non slogan estemporanei», la punzecchiata a Fratelli d’Italia e Lega.
Ma c’è di più. In vista della sfida elettorale, il leader moderato fa esplicito appello al voto utile. «In Italia noi rappresentiamo il Partito popolare europeo, la principale forza politica a Bruxelles senza la quale nessuna maggioranza è possibile. Il Ppe riflette i nostri valori liberali, cristiani, comunitari, atlantici: nel 2017 mi candidò alla presidenza del parlamento, in quell’occasione sfidai con successo l’avversario socialista ma Salvini mi negò il sostegno, sostenendo che ero tutt’uno con la sinistra».
Messaggio in chiaro: a che serve votare chi, alleandosi con l’estrema destra populista, si condanna all’isolamento politico e all’insignificanza? Così, sbandierata l’adesione di un drappello di sindaci civici (in primis il veneziano Luigi Brugnaro) e rinsaldato il patto con Noi moderati, il vicepremier rivendica l’eredità «visionaria e illuminata» di Silvio Berlusconi, scandisce la distanza dai «troppi Capitan Fracassa in circolazione» e si congeda ribadendo che «l’Italia non è in guerra e non invierà mai un soldato in Ucraina». Una doppia negazione che gli vale l’applauso convinta di una platea se non oceanica, certo ringalluzzita.