La foto segnaletica risale a prima dello scoppio della guerra, scattata quando ancora indossava una camicia e una giacca, senza la barba e l’uniforme mimetica che sono diventate il simbolo del suo ruolo di guida della resistenza ucraina dall’inizio del 2022. In un colpo a sorpresa, Volodymyr Zelensky è finito nella lista dei “most wanted” del ministero dell’Interno russo, dopo che è stato aperto un procedimento penale nei suoi confronti.
Nel database, il presidente ucraino, considerato il principale avversario di Vladimir Putin, è ricercato in base a un articolo del codice penale russo, anche se il dettaglio preciso rimane un mistero.
Nel frattempo, il ministero degli Esteri ucraino ha bollato l’episodio come un’altra prova della disperazione della macchina statale e della propaganda russa, che sembra non avere altre scuse degne di nota per attirare l’attenzione.
Secondo Kiev, l’unico mandato d’arresto «del tutto reale e soggetto a esecuzione in 123 Paesi del mondo» è quello emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Vladimir Putin con l’accusa di crimini di guerra. E sui media ucraini corre l’ipotesi che l’inserimento di Zelensky nella lista dei ricercati nasca proprio dal desiderio di vendetta per quel mandato internazionale, uno schiaffo senza precedenti mai digerito dallo zar.
Oltre a Zelensky, il ministero dell’Interno russo ha emesso un ordine di arresto anche per l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko e l’ex ministro ad interim della Difesa e attuale rettore dell’Università nazionale di difesa dell’Ucraina, Mikhail Koval. Anche per loro mancano i reati contestati, così come avvenuto in altri ordini di arresto nei mesi scorsi. Dall’inizio dell’invasione, sono diversi infatti i politici e personaggi pubblici stranieri inseriti nella lista nera di Mosca che conta decine di migliaia di voci. L’anno scorso, i russi hanno dichiarato ricercati l’allora capo delle forze armate Valery Zaluzhny e l’allora comandante delle forze di terra Oleksandr Syrsky, oggi a capo dei militari di Kiev. E proprio a seguito dell’ordine di arresto emesso contro Putin è finito nell’elenco dei ricercati anche Rosario Aitala, il giudice italiano responsabile di quel mandato. A febbraio, è stato aggiunto il nome della premier estone Kaja Kallas insieme a quelli di altri funzionari dei paesi baltici. Per loro la motivazione è stata resa nota ma suona draconiana: «Falsificazione della storia».
Mentre la Russia mischia la guerra con la giustizia interna, lo scontro prosegue in Ucraina, dove il tempo stringe per Zelensky che chiede «decisioni tempestive e adeguate sulla difesa aerea dell’Ucraina, fornitura tempestiva di armi ai nostri soldati». Secondo il leader ucraino, «solo questa settimana i terroristi hanno compiuto più di 380 attacchi contro le nostre città e regioni». Un uomo è morto e cinque persone sono rimaste ferite negli attacchi di Mosca dell’ultima giornata sulla martoriata Kharkiv mentre le forze di Kiev continuano ad attaccare le regioni russe di confine: cinque feriti nell’ultimo raid su Belgorod.
Nel frattempo giungono raccapriccianti resoconti delle politiche portate avanti dai russi nei territori del Donbass, dove anche i neonati innocenti sono vittime della guerra: il capo dell’amministrazione militare del Lugansk, Artem Lysogor, ha annunciato che da lunedì prossimo le madri che partoriscono negli ospedali della regione dovranno dimostrare la cittadinanza russa di almeno uno dei genitori del neonato affinché quest’ultimo possa essere dimesso dall’ospedale. Una norma – sottolinea il think tank americano Isw – che rappresenta una palese violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio.
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