La rockstar dei telescopi arriva ai piedi della Specola di Padova in bretelle con le anatre e la Bic nel taschino. Ha i capelli arruffati tipici degli scienziati. Quand’erano neri e più folti, i colleghi dell’Osservatorio di Asiago lo chiamavano “Zuzzurro”.
Le sue potentissime soluzioni ottiche servono a studiare i pianeti conosciuti, a scovarne di nuovi oltre il nostro sistema solare, a prevedere gli asteroidi che minacciano la terra e a individuare i detriti spaziali. L’astronomo Roberto Ragazzoni ama le sfide impossibili.
Pensa, prova, crea. Le sue lenti sono impiegate anche in medicina. Ha il sorriso sul volto, l’ironia degli intelligenti e la modestia dei grandi.
Veneziano, cresciuto a Rovigo, Roberto Ragazzoni (57 anni) è docente di Ottica all’Università di Padova, con un passato da direttore dell’Osservatorio astronomico della Città del Santo. Ha lavorato allo Steward Observatory di Tucson, alla University of California di San Diego e al Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg.
«Da dicembre non sono direttore dell’Osservatorio di Padova, mi ha sostituito Bianca Poggianti, prima donna della storia, vuole intervistarmi lo stesso?».
Prof, è vero che è un inventore fan di Verdone?
«Preferisco Sordi, ma di riflesso anche Verdone. Mi piace inventare cose ad alto rischio. Se non lo facciamo noi, chi lo fa? L’Italia dovrebbe osare un po’ di più. La Germania punta tutto sull’innovazione. Il nostro Paese è più restio. Peccato, perché il potenziale è altissimo».
Qual è il telescopio che non è ancora stato inventato?
«Una delle ultime cose strane sulle quali sto lavorando è una sfera di due metri di diametro piena di un liquido a base di fluoro che guarda tutto il cielo contemporaneamente. L’ho pensato, ma non è ancora stato realizzato. Più il campo d’osservazione è largo, più scopriamo cose nuove. “Famolo strano” davvero. Potremmo metterne uno in Sardegna a Sos Enattos. Con i miei telescopi spaziali, invece, si tengono a bada gli asteroidi killer».
A proposito, c’è un asteroide che porta il suo nome: “10590 Ragazzoni”.
«Tra Marte e Giove, se ne sta buono là. È stato un onore, un gradito regalo di Natale».
Cosa c’era prima del Big Bang?
«Non lo so, non sono sicuro che si possa parlare di un prima».
Crede in Dio?
«Ci devo pensare».
Intanto ha dato del “tu” a Papa Wojtyla.
«Ero in udienza da lui con altri colleghi. Ci siamo messi a parlare e, senza rendermene conto, gli ho dato del tu».
È la scienza che influenza la fantascienza o il contrario?
«Si contaminano a vicenda. Ricordo da bambino un film con un’astronave con i diapason, era la cosa più all’avanguardia. Poi c’è la mitica battuta del film “Il sorpasso”: “Dovresti insegnare diritto spaziale”. Poco tempo dopo è stato organizzato il primo incontro internazionale per regolamentare il traffico spaziale. Negli anni ’60 il volo spaziale era sulla bocca di tutti».
Siamo soli nell’universo?
«Nooo».
Ne è sicuro?
«No. Ma alcuni pianeti di altre stelle si comportano come la luna, mostrano sempre la stessa faccia. Quella rivolta alla stella sarà arida, l’altra congelata, ma nella parte in mezzo sarà possibile la vita. Penso questo. Basta cercare e studiare. Oggi conosciamo 5-10 pianeti in cui sappiamo si sta bene, dove l’acqua in un bicchiere non evapora né ghiaccia».
Tra quanto riusciremo a trovare “compagnia”?
«Difficile prevederlo. Stiamo costruendo macchine per guardare una parte infinitamente piccola dell’universo. C’è chi progetta di andare su pianeti che ruotano attorno alle stelle più vicine, ma sono tutti tra 20-30 anni. Serve un colpo di fortuna, realisticamente per iniziare servono almeno 20 anni».
Che cosa si vede quando si scopre un pianeta nuovo?
«La luce della stella che diminuisce leggermente, perché ci passa il pianeta davanti. Come essere lontano da un lampione e vedere passare un moscerino o una farfalla».
Nel 2026 sarà lanciato Plato, telescopio spaziale dell’Agenzia spaziale europea con 26 telecamere al quale ha collaborato. Cosa dobbiamo aspettarci?
«Non lo so, lo facciamo per questo. Oggi vediamo circa 5-6 mila pianeti extra sistema solare, con Plato ne vedremo 20-30 mila»
Cercate l’acqua?
«Quando me lo chiedono, mi viene da ridere. Andiamo a vedere pianeti diversissimi dai nostri. Secondo me troveremo forme di vita diverse da quelle che immaginiamo. Potremo avere problemi culturali per capire».
Si è laureato in Astronomia con 110 e lode in 4 anni, cosa rarissima, ma ha cominciato frequentando l’istituto tecnico. Perché?
«Alle medie mia madre voleva che facessi il liceo. I professori le consigliarono di iscrivermi al professionale. Frequentare il tecnico è stata la mia fortuna. Il prof della tesi, Cesare Barbieri, che ha realizzato il famoso telescopio Galileo, mi chiamò per lavorare al primo telescopio italiano alle Canarie. Gli serviva uno molto astronomo, ma anche molto tecnico. Popper l’ho studiato dopo».
Il suo sogno?
«Volevo fare l’astronauta, poi sono andato a Houston a fare i voli parabolici in cui stai in assenza di gravità per 30 secondi. Si fanno 20 parabole, ho iniziato a vomitare dopo la settima. Intanto mi accontento di volare con il mio aereo, la mia passione. È di tipo sperimentale, ho messo le mani anche lì».
