TRIESTE Anche la Corte d’assise d’appello di Venezia ritiene che sia stato il sacerdote veronese don Paolo Piccoli a uccidere monsignor Giuseppe Rocco, il 92enne trovato senza vita il 25 aprile 2014 nella sua stanza alla Casa del Clero di via Besenghi. Il tristemente celebre giallo del Seminario.
Dopo tre ore di Camera di consiglio, la giudice Elisa Marian ha infatti letto la sentenza. Condanna confermata: 21 anni e sei mesi. Una sentenza che, «con molta sincerità, non ci aspettavamo», ammette l’avvocato Vincenzo Calderoni, che con il collega Alessandro Filippi ha difeso don Piccoli.
Il sacerdote imputato, oggi 57enne, era in aula. Entro 90 giorni la Corte d’assise d’appello depositerà le motivazioni della condanna «e da quel momento – precisa lo stesso Calderoni – avremo 45 giorni per proporre un nuovo ricorso davanti alla Cassazione, che dovrà valutare se quelle motivazioni sono conformi al suo dictum».
Al processo bis celebrato a Venezia si era arrivati dopo la sentenza della Cassazione che nel marzo 2023 aveva annullato la condanna a 21 anni e mezzo pronunciata a Trieste dalla Corte d’assise e confermata dalla Corte d’assise d’appello. Don Piccoli resta in libertà. «Non è stata avanzata nessun tipo di istanza cautelare», precisa il suo legale. L’avvocato Calderoni, nel testimoniare lo stato d’animo del sacerdote dopo la lettura della sentenza, parla di «un uomo di fede che sostiene che questa sia la volontà del Signore, la croce che deve portare».
Un discorso «che sotto il profilo psicologico è tutto sommato efficace – constata il difensore – perché vedo che comunque don Piccoli regge, malgrado queste vicissitudini non siano facili da sopportare». «I prossimi giorni per me saranno di passione, come quelli vissuti da nostro Signore prima della Pasqua di Resurrezione», aveva dichiarato il sacerdote meno di una settimana fa.
Il motivo principale dell’annullamento della precedente sentenza di condanna da parte della Cassazione era stato rappresentato dalla mancata ammissione dei consulenti di parte. La consulenza autoptica che aveva riscontrato la rottura dell’osso del collo e gli accertamenti dei Ris sulle tracce di sangue trovate sul letto della vittima non sarebbero insomma stati ammissibili. Erano accertamenti cosiddetti irripetibili, ma don Piccoli non era stato avvisato quando erano stati disposti perché non ancora iscritto nel registro degli indagati. Per la difesa la rottura dell’osso del collo potrebbe essere avvenuta in occasione dello spostamento del corpo da parte dell’impresa funebre o durante le stesse operazioni autoptiche mentre monsignor Rocco sarebbe morto per una patologia broncopolmonare.
Ma, stando alla condanna, il 92enne è stato strangolato da don Piccoli, introdottosi nella sua camera con l’intenzione di sottrargli alcuni oggetti sacri e una catenina. Il 25 aprile di 10 dieci anni fa, ad accorgersi del corpo esanime di monsignor Rocco, che era stato a lungo parroco di Santa Teresa, fu la perpetua Eleonora Laura Di Bitonto.
Don Piccoli era il vicino di camera dell’anziano collega sacerdote. In un primo momento si pensò a una morte naturale. L’accusa di omicidio arrivò all’esito dell’autopsia, che riscontrò appunto la rottura dell’osso ioide all’altezza del collo e la presenza di lesioni riconducibili a un’azione violenta