BELGRADO. Una partita fondamentale per il futuro, che si gioca nelle segrete stanze di Bruxelles e il cui risultato sarà finalmente noto tra oggi e domani. E che nel frattempo rimane ancora apertissima, tra due fronti arroccati su posizioni agli estremi, che ancora non si conciliano. È il match politico-diplomatico che riguarda il destino della Bosnia-Erzegovina, Paese che ha ricevuto lo status di candidato all’ingresso alla Ue, a fine 2022, ma che non ha ancora potuto aprire i negoziati d’adesione con Bruxelles, un passo che rimane congelato - a differenza di Kiev e Chisinau. Tutto potrebbe cambiare al Consiglio europeo che inizia oggi e che, in agenda, ha proprio la discussione sulla luce verde alle trattative con Sarajevo, apertura che è stata raccomandata pochi giorni fa dalla Commissione europea, con toni eccezionalmente favorevoli.
La Bosnia «ha fatto più progressi in un anno che nell'ultimo decennio», aveva detto von der Leyen. Ora, il redde rationem. Ma a che punto è la notte? Segnali incoraggianti per Sarajevo non mancano, anche se i leader Ue appaiono ancora, come sempre, divisi. Segnali come una lettera inviata ai propri omologhi europei dai ministri degli Affari esteri ed Europei di sette Paesi membri, Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Italia, con cui si è messa nero su bianco l’urgenza di iniziare «i negoziati di adesione con la Bosnia-Erzegovina». Bosnia, hanno assicurato i sette, Roma inclusa, che negli ultimi mesi avrebbe «realizzato più riforme sostanziali che negli anni precedenti», dimostrando che la Bosnia vuole la Ue ed è pronta a continuare sulla strada verso l’adesione. Lo «slancio» mostrato da Sarajevo va premiato, hanno aggiunto.
Fra i più accesi sostenitori di questa posizione, l’Austria, che per bocca della ministra per gli Affari europei Karoline Edtstadler ha esortato a «sfruttare questo momento», non lasciando indietro la Bosnia rispetto a Ucraina e Moldova. In Europa e in Bosnia c’è voglia di Ue e «vogliamo cavalcare quest’onda, così che entro il 2030 l'Europa sia più grande e compatta», ha fatto eco anche la ministra degli Esteri slovena, Tanja Fajon. Si prenda una «decisione importante» a favore di Sarajevo, ha chiesto anche Budapest, non fra i firmatari della lettera, ma a favore dell’avvio dei negoziati. Come a favore, senza se e senza ma, sarebbe ora anche la Germania. «Abbiamo visto un chiaro avanzamento delle riforme negli ultimi mesi e dobbiamo rispettare» l’impegno preso con il Paese balcanico, ha detto la ministra tedesca Anna Luhrmann.
Ma ci sono anche capitali che ancora frenano, come troppe volte accaduto in passato. Secondo i “rumors” che circolano a Bruxelles, sono in particolare tre quelle ancora riottose, in testa Copenaghen. Ma anche la Francia di Macron e i Paesi Bassi sarebbero schierato per un “ni” o un secco no. Pronostici? «Sono cautamente positivo, dal momento che la decisione sarà esclusivamente politica e la Bosnia ha il vantaggio di contare su un buon numero di sostenitori», i cosiddetti “Amici dei Balcani occidentali”, tra cui l’Italia, «che sosterranno la candidatura», la previsione al Piccolo del politologo dell’Ispi, Giorgio Fruscione. La partita, comunque, rimane aperta, anche perché «non tutte le richieste» sulle riforme presentate dalla Commissione «sono state soddisfatte». E dunque il fronte del “no” ha le sue ragioni. Oggi o domani al massimo, la risposta ufficiale.
