PORDENONE. Una sta facendo incetta di record nazionali master, migliorando col passare degli anni, l’altra ha rappresentato l’Italia al massimo livello sportivo, disputando due edizioni dei Giochi olimpici. I livelli sono diversi, va detto, ma ciò nulla toglie al bello del racconto, rappresentato da una storia di famiglia, con l’atletica che unisce.
In pista continua a brillare il cognome Caravelli. Dopo Marzia, ritiratasi nel 2021 dopo ben 23 presenze in nazionale assoluta tra 60, 100 e 400 ostacoli e 200 piani, a rimanere sul tartan è la sorella Serena, che nel mondo master è diventata un’istituzione. Ha appena conquistato tre titoli italiani master indoor nei 60 piani e ostacoli, nei 200 piani.
ASSIEME
Classe 1981 Marzia, classe 1979 Serena: è stata quest’ultima a frequentare per prima il campo e a portare la sorella a correre in corsia. «A spingermi a praticare atletica – racconta la sorella più grande – è stata la mamma, che aveva frequentato l’Isef. Erano gli inizi degli anni ’90. Successivamente mi raggiunse Marzia, anche lei incoraggiata da nostra mamma».
Sì, perché inizialmente la futura primatista italiana dei 100 ostacoli praticava «ginnastica ritmica – sottolinea –. Col tempo, però, crescevo così tanto in altezza, che preferii cambiare». L’anello di via San Vito, dunque, nel destino delle sorelle, seguite al tempo dal professor Roberto Belcari. Assieme si allenarono per una decina d’anni, entrambe sugli ostacoli: Serena sui 400, Marzia sui 100.
Quest’ultima, poi, per motivi di studio e poi di lavoro, lasciò Pordenone. Quando tornava in città, tuttavia, ritrovava la sorella in pista. Un rapporto, il loro, già profondo, ma ulteriormente rinforzato dall’atletica e rimasto tale anche dopo il 2006, quando Serena decise di ritirarsi e di non indossare più le chiodate sino al 2014.
Marzia nel frattempo era diventata l’atleta che tutti conoscono: campionessa italiana di 60 e 100 ostacoli, anche nei 200. «Viveva e si allenava a Roma, ma la seguivo sempre, supportandola anche psicologicamente» sottolinea sorridendo Serena, fisioterapista e osteopata di professione, che visitava Marzia nel suo studio ogni volta che si trovava a Pordenone.
TRASCINATE A VICENDA
I successi della più giovane delle due sorelle, capace nel frattempo di un quinto posto agli Europei assoluti nel 2012, nonché la sua presenza costante in pista riavvicinarono un po’ alla volta Serena in pista.
«Mi mancava – ammette -. Così, nelle vacanze di Natale del 2014, dopo una corsa assieme, decisi di ricominciare. Da master, a 35 anni, senza pressioni. Così Marzia, che viveva ancora a Roma, mi mandava i programmi di allenamenti da seguire.
Più tardi, spinta dal professor Chessa, decisi di tesserarmi per la Friulintagli e di rimettermi in gioco in pista sui 400 ostacoli». Una specialità che ha segnato la parte finale di carriera di Marzia, azzurra sul giro di pista con barriere ai Giochi di Rio (2016) e ai mondiali di Londra (2017).
E mentre lei si ritirava, nel mondo master si distingueva sempre di più Serena, capace di mettere in fila un titolo dietro l’altro – anche a livello mondiale – e di migliorare nonostante l’avanzare degli anni.
Un aspetto, questo, non scontato. E lo scorso weekend ha anche firmato due record italiani nella categoria SF45 nei 200 piani (25’’68) e nei 60 ostacoli (7’’95). Prossimo step, gli Europei di Torun in Polonia (dal 17 al 23 marzo).
IL PRESENTE
Non tornerebbe a gareggiare, ora, Marzia. «Per quanto mi manchi il campo, la pista fa parte del passato – spiega -. Per l’atletica a livello professionistico ho rinunciato a tante cose».
Si gode la famiglia e segue la sorella più grande, da tifosa e da specialista, essendo la sua nutrizionista. «Io ho ancora voglia di fare, di vedere sino a dove posso spingermi – racconta Serena –. C’è poi l’aspetto sociale, perché tra i master ho anche tante amicizie».
A volte, alle gare, viene scambiata per Marzia. Oppure gli speaker, quando la annunciano, ricordano i risultati ottenuti dalla sorella. «L’ammiro per l’impegno che mette in ciò che fa» sottolinea proprio Marzia, che con orgoglio riconosce: «Siamo diverse, lei è più istintiva, io più razionale. Abbiamo interessi differenti, ma l’atletica ci ha unito». E i loro racconti ne sono testimonianza.