Nessuna nota di pathos, nessun favola visionaria. E tanto meno nessun volo pindarico di memorabile creatività. In compenso, tanta voglia di eleganza. Si potrebbe riassumere così la settimana di prêt-à-porter milanese che ha portato in passerella le collezioni per l’autunno inverno 2024-2025. Tutte, o quasi, caratterizzate da una compostezza estetica sublimata, a volte dalla ricchezza dei decori, altre dall’elevata qualità della manifattura. Quella italiana, quella che tutti ci invidiano. E soprattutto quella che fa salire i costi e quindi i prezzi dei singoli capi nelle boutique. Sempre più proibitivi per i comuni mortali, ma in linea con le richieste dei neo ricchi, tanti, sparsi per il mondo, Italia compresa, e dei nuovi compratori dei mercati emergenti: non più Cina, non solo la Corea, ma anche tutti i Paesi del mondo arabo.
D’altro canto è indubbio che il made in Italy sia desiderabile, è certificato dai dati economici rilevabili dal preconsuntivo del Fashion Economic Trends, diffuso dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, che indicano un fatturato 2023 di 102 miliardi di euro, in crescita del quattro per cento in più rispetto al 2022, con un aumento di almeno ben quattro volte superiore a quello del Pil del nostro Paese. Quindi in barba all’inflazione e alle varie incertezze, dalle guerre alle tensioni geopolitiche, le vetrine di moda globali, con i loro luccichii, attirano ancora molti compratori, sempre più danarosi. E sempre più esigenti e preparati. Sì perché a quanto pare i nuovi «fashion addict» non sono più «victim», non hanno più bisogno di quello status garantito dal logo di un marchio, ma esigono perfetta vestibilità, alta qualità e soprattutto una manifattura fatta in Italia, alla maniera italiana, cioè precisa nelle rifiniture realizzate a mano, perfetta nei dettagli, rispettosa delle regole salariali e industriali che puntano a preservare ambiente e lavoratori. In sostanza, come si è detto, una moda per pochi, per quegli «alto spendenti» che si possono permettere di pagare un cappotto di cashmere intorno ai 10 mila euro, un paio di stivali tremila e un tailleur intorno ai quattromila euro.
e la moda altro non è che lo specchio della società, sempre più rappresentabile con l’immagine della forbice che si apre tra l’alto e il basso tagliando nel vuoto quella che un tempo era la classe media. Va detto però che si tratta di proposte di capi belli e duraturi, «di pezzi straordinari da indossare e poi tenere nell’armadio per ritirarli fuori in un altro momento e addirittura lasciarli in eredità a figli e nipoti» commenta Brunello Cucinelli il quale, giustamente allergico all’abusata definizione di «quiet luxury», sostiene che «C’è tanta voglia di vestirsi bene, con garbo e buon gusto». E tale voglia di eleganza e di equilibrio estetico, dopo la follia di questi anni di ciabatte, felpe e tessuti lacerati, e sopra la follia del mondo in preda a prevaricazioni e guerre evitabili, è la cifra emergente delle passerelle milanesi per l’inverno 2025. La si ritrova nella collezione di Tod’s che con il neo designer Matteo Tamburini ripropone i codici della maison, arricchendoli di un classicismo più dinamico e contemporaneo; la si vede nella sfilata di Gucci dove Sabato De Sarno ha voluto: «Cogliere lo straordinario dove si dà per scontato che si trovi l’ordinario. I miei sogni, così come la mia moda, dialogano sempre con il reale. Perché non sono alla ricerca di un altro mondo da abitare, piuttosto di modi per abitare questo mondo».
Questa eleganza poi viene sublimata nelle proposte di Rocco Iannone per Ferrari, frutto di una riflessione sul corpo, sul ruolo della luce nella definizione del colore e sui capisaldi del guardaroba. Declinati attraverso tessuti archetipi del tailoring, come la flanella e le lane pettinate che rimandano al valore della tradizione artigianale prestandosi a una rilettura della silhouette dove ogni curva, ogni volume non smette mai di ridursi e dilatarsi, contrarsi ed estendersi attraverso nuove proporzioni. E se la poetica sfilata di Giorgio Armani è un «messaggio di grazia e di speranza che prende forza ed energia dalla bellezza ispiratrice della Natura che abbiamo il dovere di rispettare e preservare», la collezione di Miuccia Prada e di Raf Simons si impone per spunti di riflessione sulla contemporaneità. Le gonne in lana che lasciano intravvedere lo strato sottostante della fodera, le giacche dalla silhouette attillata che verticalizza la figura, i dettagli incorporati negli abiti sono elementi semiotici di una conversazione che solleva domande su come i ricordi possano aiutare emotivamente a ritrovare nuovi ideali di bellezza. E di equilibrio sopra la follia circostante.