«Correte, ha tirato fuori il coltello, ho paura per me e per mio figlio». I carabinieri non se l’erano fatto ripetere due volte. Nel giro di una manciata di minuti erano a Felonica, davanti alla casa dove si stava concludendo il drammatico litigio tra un operaio e la compagna, davanti al loro bambino di appena sei mesi. Lui aveva “rassicurato” i militari dicendo di aver rivolto l’arma contro se stesso, e ripetendo davanti a loro che se lei lo avesse lasciato si sarebbe tagliato la gola.
Lui era stato trasportato in ospedale a Pieve per essere sottoposto a una visita neurologica, lei soccorsa in ambulanza, aveva rifiutato di andare in Pronto soccorso per un accertamento sulle sue condizioni. Aveva taciuto, quel giorno, come tutti i giorni precedenti. Aveva 26 anni, come il compagno, e a casa non era più tornata: aveva raccattato lo stretto necessario per sé e il bimbo, e con il piccolo in braccio si era rifugiata dai genitori, portando anche l’altra bimba di 7 anni. Aveva taciuto, ancora. Per paura.
Ma agli occhi della nonna non erano sfuggiti i lividi sul corpo della figlia e dopo parecchie insistenze le aveva fatto confessare l’inferno di mesi: insulti, minacce, e botte, tante. Il giovane, con problemi di tossicodipendenza, che la compagna aveva scoperto solo dopo la nascita del figlio, non perdeva occasione per litigare.
Tirate di capelli, morsi, pugni e calci, oggetti spaccati e porta della camera chiusa a chiave con lei dentro per impedirle di scappare. I soldi erano spesso la causa scatenante, perché lui, che svolgeva solo lavoretti saltuari, pretendeva che a mantenere la famiglia fossero i nonni materni. Ma anche la gelosia, tanto ottusa quanto furiosa.Ora l’uomo, colpito dal divieto di avvicinamento, è a processo per maltrattamenti. Ieri, davanti alla giudice Raffaella Bizzarro, chiamati dal difensore Stefania Bertelli, hanno testimoniato le assistenti sociali e la psicologa che hanno seguito il caso. La prossima udienza sarà il 15 maggio.
