TRIESTE. Un caso giudiziario che si riapre dopo quasi 40 anni e che riporta indietro nel tempo, a un periodo in cui Trieste si era trovata sulle rotte del terrorismo internazionale, in questo caso quello marxista, antimperialista e filopalestinese delle Farl, le Fazioni armate rivoluzionarie libanesi, gruppo che cooperò anche con le Brigate Rosse. Un processo che vedrà come imputato un nome celebre negli anni Ottanta, personaggio controverso e tuttora accompagnato da fama mondiale: Georges Ibrahim Abdallah, cittadino libanese di religione cristiana che delle Farl è stato il leader ideologico ed è considerato tuttora una figura storica della resistenza arabo-palestinese.
Gli obiettivi delle Farl erano la liberazione del Libano dalle potenze straniere (Usa, Francia e Israele) e la creazione di uno Stato palestinese. Il modus operandi escludeva attentati conto i civili: nel mirino c’erano funzionari di servizi segreti, incaricati di ambasciate e militari. Abdallah dal 1984 è detenuto in Francia dove è stato condannato a due ergastoli e non ha mai interrotto il suo impegno politico. Periodicamente partono campagne mediatiche internazionali per chiedere la sua liberazione, ma il 72enne attivista, ex insegnante e poliglotta, si è sempre visto rifiutare le istanze di concessione della libertà condizionata tanto da essere considerato uno dei detenuti che da più tempo è dietro le sbarre nei Paesi dell’Unione europea (Italia esclusa).
Ma cosa lega Abdallah a Trieste e di cosa è accusato? Dobbiamo tornare al 6 agosto 1984, quando durante un controllo su un treno internazionale al valico ferroviario di Opicina venne arrestato Moh’d El Mansouri, 19 anni: trasportava 7 chili e mezzo di esplosivo al plastico di produzione cecoslovacca. Il giovane, che viaggiava con un passaporto marocchino falsificato, risultò subito un affiliato delle Farl. Sullo stesso treno c’era anche un’altra presunta attivista, che riuscì a scappare. El Mansouri venne poi condannato dal Tribunale di Trieste a 16 anni, ma fin da subito l’indagine coinvolse il leader del gruppo eversivo Abdallah, considerato l’organizzatore del trasporto.
In quegli anni partì anche una rogatoria diretta in Francia (su Abdallah indagavano anche i magistrati romani) per chiedere l’estradizione, ma il fatto che nel frattempo fosse già in carcere non rendeva urgentissima una misura cautelare e comunque il dialogo con l’autorità giudiziaria transalpina, evidentemente, fu più complicato del previsto. Fatto sta che il procedimento si arenò e sono passati, da allora, 39 anni. Adesso, finalmente, è stato possibile far ripartire il processo.
Giovedì 1 giugno, davanti al Tribunale collegiale presieduto dal giudice Giorgio Nicoli (a latere Carbone e Poillucci), ci sarà la prima udienza e Abdallah è a giudizio con l’accusa di importazione di armi da guerra e materiale esplosivo, con l’aggravante delle finalità terroristiche. Il decorso della prescrizione del reato era stato sospeso. Sarà difeso dagli avvocati del Foro di Trieste Antonio Cattarini e Jennifer Schiff. Una sfida tutt’altra che facile quella che dovranno affrontare legali e magistrati, visto che in considerazione del periodo a cui risalgono i fatti il processo sarà celebrato con il vecchio codice di procedura (quello attuale è in vigore dal 1989). Nel frattempo, tra l’altro, è entrata in vigore la legge Pinto, che consente all’imputato di chiedere i danni in caso di eccessiva durata. Inoltre, c’è l’articolo 111 della Costituzione, quello sul “giusto processo”.