Dimitri Coin, la sua elezione a segretario provinciale della Lega a Treviso scombussola gli equilibri. Salvini non si congratula, non fa festa Zaia, arrivano terzi i dissidenti anti-Salvini e gli amministratori...
«Salvini ha diffuso un comunicato stampa, con Zaia ci siamo appena sentiti. Ha vinto la Lega, questo è il vero dato che conta».
Lei era il più salviniano fra i parlamentari trevigiani, la scorsa legislatura.
«Lighista, leghista e salviniano come tutti i leghisti perché Salvini è il capo. Con Bossi capo eravamo tutti bossiani, con Maroni maroniani».
Allora è salviniano ribelle. Le avevano chiesto di ritirarsi per lasciare campo aperto a Barbisan, gradito a Stefani, Bitonci & Co: non ne ha voluto sapere.
«Mi sono candidato su spinta di moltissimi militanti, non era quindi una cosa che potesse essere presa in considerazione, ma la verità è che anche questa è una diceria circolata insistentemente nei giorni scorsi; non nego che con Riccardo (Barbisan ndr) ci siamo parlati in più occasioni, ma nessuno mi ha mai chiesto di ritirare la candidatura, non sarebbe stato neanche logico».
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La chiamano l’ultimo stalinista. Tipo Pci anni ’50.
«Grazie, no. Penso di essere assai democratico, a volte troppo. Semplicemente, ho sempre detto che il partito viene prima di ogni cosa, anche del singolo, fosse pure il leader. Così mi hanno insegnato quando sono entrato nel 1999».
Da dove riparte?
«Va riaccesa la macchina bloccata per i commissariamenti. Incontrerò sindaci, segretari di sezione: deve ripartire la circolazione interna».
Come valuta il commissariamento di Bof, oggi suo collega a Roma?
«Ha svolto il suo compito, non devo valutarlo io. Al congresso ho solo evidenziato le sue parole “lascio un partito in salute”. Per lo meno inesatto».
Siete malati? E di cosa?
«Siamo usciti malconci alle politiche, dobbiamo fermare i flussi verso Fratelli d’Italia o altre forze, abbiamo perso comuni importanti».
Ha una ricetta?
«Valorizzare i nostri amministratori, le nostre battaglie, la nostra identità. Ma soprattutto alzare ulteriormente l’asticella della nostra proposta politica e della nostra visione, a cominciare dal Veneto. Considero strategiche le Europee ’24, dobbiamo far bene in prospettiva regionali ’25, per essere i più forti del centrodestra».
Teme richieste di FdI?
«Dico che dobbiamo far vedere tutta la nostra forza. Poi certe scelte non spettano a me».
Lei e Zaia non vi amate.
«Esagerazione... l’ho sentito e ci vedremo a breve. Ci siamo sempre confrontati schiettamente, mai avuto problemi».
Capitolo dissidenti. Teme altre esternazioni?
«Spero di no, chi lo fa allontana i nostri elettori. Sono per la dialettica, anche dura, ma sempre interna».
Da Re e Pettenà, altri veneti rischiano l’espulsione.
«Non ho aperto io i procedimenti».
Comunali 2023: al voto c’è Treviso, con Vicenza.
«Incontrerò Conte forse domani, so che la sua macchina elettorale è già in moto; poi Vedelago, che rientra nel tavolo veneto del centrodestra, Motta, Istrana, altri ancora...parlerò con sindaci, giunte, sezioni».
Non la spaventa essere il primo segretario minoritario? In direttivo 6 consiglieri della sua corrente su 14.
«Non mi piace il termine correnti, possono esserci diversi modi di vedere le cose, ma ci si confronterà nel direttivo, che peraltro andrà allargato. Io dico: maggior coinvolgimento, discussione, ma scelte condivise, perché saranno della Lega, non di maggioranza e minoranza interne. Ho chiamato subito sul palco gli altri due candidati e ho detto: “Questa è la Lega”».
I suoi avversari dicono che non si può fare il segretario da Roma.
«Dov’è il problema? Non mancherà la presenza sul territorio. E mi piace pensare che la mia esperienza di parlamentare sia un valore aggiunto che metto al servizio del partito. Adesso si riparte, un passo alla volta, tutti insieme».
