TRIESTE La circostanza è a dir poco clamorosa. La premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani sono stati convocati dal gup di Roma Roberto Ranazzi in merito alle promesse ricevute dal presidente egiziano Al Sisi sulla soluzione del caso del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. È ormai evidente da sette lunghissimi anni che la partita non può essere vinta a livello giudiziario. Serve una svolta a livello politico. Il processo ai quattro 007 della National Security egiziana non può essere celebrato perché l’Egitto non comunica l’indirizzo dei quattro ufficiali e quindi non è possibile notificare loro gli atti. Su un’eventuale collaborazione sono stati recentemente rassicurati da Al Sisi sia Meloni sia Tajani.
E proprio in merito a queste promesse ricevute entrambi saranno interrogati, al netto dei loro impegni istituzionali, il prossimo 3 aprile, dal giudice che ieri mattina ha accolto la richiesta dell’avvocata dei genitori del ricercatore friulano, Alessandra Ballerini. La quale precisa: «Alla luce delle dichiarazioni rese ai media dalla premier e dal ministro circa le rassicurazioni, o addirittura sono state chiamate promesse, ricevute dal presidente egiziano che avrebbe garantito che risolverà la situazione eliminando gli ostacoli che ci impediscono di iniziare questo processo per il sequestro le torture e l'uccisione di Giulio, abbiamo chiesto di sentire la premier Meloni e il ministro degli Esteri per avere ragguagli su tempistiche e modalità di queste soluzioni».
Per la legale di parte civile «la decisione presa oggi dal giudice è il meglio che si poteva ottenere alla luce delle motivazioni della Cassazione, dopo il no al ricorso della Procura, dalle quali emerge che il superamento della situazione impeditiva per la partecipazione degli imputati al processo appartiene alle autorità di governo. Noi vogliamo credere di vivere in uno Stato di diritto che tutela i suoi cittadini e non abdica alle sue responsabilità».
Ieri sera, durante un’intervista sui Rai3 nella puntata de “Il Cavallo e la Torre”, la madre di Giulio Regeni, Paola Defeddi incalza: «A noi piacerebbe anche sottolineare che quello che è successo a Giulio non è un affare di famiglia, perché un Paese che non riesce a fare giustizia su quello che è successo a Giulio diventa un Paese che non dà sicurezza ai propri cittadini». E il papà, Claudio Regeni, aggiunge: «Non abbiamo avuto incontri con il governo italiano, speriamo di avere qualche riscontro su quello che manca per superare il cavillo legislativo che impedisce l'inizio del processo. Ci è sembrato di capire che Meloni e Tajani hanno avuto delle garanzie e delle rassicurazioni da parte del governo egiziano e del presidente Al Sisi stesso: si voleva capire in che cosa consistevano e in cosa si tradurranno in fatti».
Ieri mattina, intanto, si è svolto un sit in fuori dal tribunale a cui hanno preso parte anche gli attori Valerio Mastandrea e Pif oltre ai rappresentati della Fnsi. Nell’aula del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, invece, è stata discussa e approvata all’unanimità la mozione presentata da Furio Honsell di Open Fvg per fermare qualsiasi spedizione di materiale militare da Trieste all'Egitto e a qualsiasi altro Paese che violi i diritti umani. «Negli ultimi 20 anni - ha ricordato Honsell - il nostro Paese ha esportato nello stato nordafricano 230 milioni di armi leggere e munizioni, molti dei quali partiti da Trieste».