Fondamentalmente, è un voto regionale che appare come l’appendice del voto politico. L’onda lunga di un centrodestra che veleggia spavaldo, da una parte, e la voragine elettorale di un centrosinistra allo sbando, dall’altra. Le pailettes di Sanremo sono servite a poco: il Paese reale sta da un’altra parte.
Nel centrodestra Fratelli d’Italia si conferma saldamente al timone, ma senza umiliare gli alleati rispetto alle politiche. Da domani probabilmente, dovremo aspettarci ancora smarcamenti imprevisti nella coalizione su temi scottanti (Ucraina e immigrazione, in primis). Ma dall’elettorato moderato e conservatore arriva un messaggio chiaro: avanti così, possibilmente uniti. Troppo presto per giudicare il governo. Probabilmente le prossime europee saranno il primo vero banco di prova per dare un voto alle politiche governative.
Il centrosinistra sconta tutto lo psicodramma relativo al vuoto di leadership nazionale. Seppur a geometria variabile (alleato con i cinque stelle in Lombardia, da solo nel Lazio), i consensi restano al palo. Non s’intravede un’alternativa di governo da quelle parti. E ancora una volta, la realtà è ben diversa da quella dipinta dagli influencer e dagli artisti sul palco di Sanremo. Si potrebbe dire: palcoscenici pieni e urne vuote. Se nell’ultima settimana di campagna elettorale il progressismo italiano ha cantato con Rosa Chemical sul palco del festival, nel verdetto elettorale è rimasto suonato. In una crisi della socialdemocrazia che in Italia è più profonda, ma interessa un po’ tutta Europa (a Berlino la sinistra del cancelliere Scholz ha incassato il peggior risultato del dopoguerra).
Tra le due sponde c’è il Terzo Polo, massima delusione di questa tornata regionale. Non attecchisce sul territorio. Le sue pretese restano confinate alle aule parlamentari, ai circoli intellettuali, e in certi quartieri bene di Roma e Milano. Più il tempo passa, più la creatura politica centrista rischia di venir stritolata tra gli ego ipertrofici dei due nocchieri: Renzi e Calenda. Mentre Giuseppe Conte, che in Lombardia quasi dimezza i consensi, si conferma leader di un partito a trazione meridionale: finché glorifica il reddito di cittadinanza a certe latitudini, sopravvive. Quando prova a vendere il prodotto nelle regioni produttive, manifesta tutto il vuoto della sua proposta.
Dunque sono state elezioni interlocutorie, sonnacchiose, in cui chi si aspettava sorprese è rimasto deluso. Fortissima l’astensione: ma probabilmente solo perché persino gli elettori di sinistra, i più irregimentati, stavolta sono rimasti talmente disgustati da aver preferito la gita fuori porta al dovere dell’urna.