Sottopagata perché il negozio non va bene. Una commessa si licenzia e va all’Ispettorato del Lavoro, per capire se almeno il suo contratto sia stato regolarmente registrato. Teme, purtroppo, che non sia così, anche perché non sarebbe la prima volta che succede. In questo momento, non sta lavorando e il negozio sarebbe rimasto chiuso per tutta scorsa settimana senza un cartello «Cercasi personale» sulla porta d’ingresso.
La storia professionale di questa giovane donna non è l’unica, in un periodo di sempre maggiore sofferenza per il mondo del commercio: «Avevo cominciato a lavorare per questa persona il primo dicembre, con un contratto part-time da 15 ore settimanali, ma finivo sempre per essere in negozio più tempo, anche di domenica. Alla fine del mese, la titolare mi ha inviato una busta paga, ma non con una somma inferiore a quella che mi spettava. La giustificazione è stata che il negozio non incassava abbastanza denaro. Inoltre, secondo lei i soldi erano troppi per le ore che avevo lavorato. Eppure continua ad aprire attività, nonostante gli affari non vadano bene».
La dipendente ritiene, invece, di aver fatto anche troppe giornate di lavoro: «Durante la mia breve esperienza lavorativa, ho gestito anche la pubblicità del negozio sui social e, nelle aziende serie, questo è considerato un vero e proprio lavoro retribuito. Ho fatto contemporaneamente commessa, donna delle pulizie e social media manager, senza ricevere nemmeno un centesimo in più. Il dipendente deve venire prima di tutto, non si può giustificare un ritardo di busta paga perché “il negozio non va bene”, in quanto il lavoratore non ne ha nessuna colpa e un vero imprenditore dovrebbe avere un fondo apposito per queste difficoltà, non aprire negozi per divertimento».
Attesa per la verifica all’Ispettorato del Lavoro.