Il grande pianista iraniano Ramin Bahrami chiede al Papa e a Giorgia Meloni di intervenire con parole forti sulla tragedia che stanno vivendo in questo momento le donne in Iran perseguitate dai severi custodi ortodossi della religione.
“Esorto e supplico Giorgia Meloni di intervenire come uno dei protagonisti della politica internazionale e come donna. So – dice Bahrami – che ha espresso solidarietà alla protesta delle donne in Iran nei primi giorni in cui è scoppiata, ma è importante che faccia sentire la sua voce anche ora che è presidente del Consiglio”.
E rivolto al Pontefice: “Caro Santo Padre, glielo sta dicendo un iraniano cristiano. Forse sono un iraniano atipico, che ha abbracciato grazie a Johann Sebastian Bach la religione cristiana. Mi sarei aspettato da colui che rappresenta sulla Terra il mio Profeta un intervento più pronto”.
L’appello del grande pianista in difesa del popolo iraniano parte dall’analisi della situazione: “In Iran siamo entrati in una nuova fase della protesta contro il regime, è un punto di non ritorno. Ritengo che stavolta la rivolta non si fermerà, non tornerà indietro, il popolo non accetterà compromessi”, dice.
E aggiunge Ramin Bahrami: “Osservo però con grave preoccupazione che si è aperta anche una nuova fase della repressione, ancora più spietata, ancora più angosciante: ogni giorno aumentano le persone uccise o arrestate, chi manifesta rischia il carcere, la tortura, la pena di morte”.
Il pianista arriva quindi a una conclusione inequivocabile. “Se la comunità internazionale – come sta facendo in altre zone calde del mondo – condannasse il comportamento di questi signori e non ricorresse a compromessi come ha sempre fatto per oltre 40 anni, se prendesse davvero una posizione forte e decisa contro il regime, sarebbe molto più difficile per loro ammazzare liberamente la gente che manifesta. Se Dio vuole, ma direi se l’Occidente vuole, se i governanti non antepongono ancora i loro forti interessi economici al rispetto dei diritti umani basilari al giorno d’oggi, questa è la volta buona che questo regime criminale vada via. Io non so se avverrà già il prossimo anno, questo è il mio augurio”.
Proprio in queste ore in Iran si è aperto un nuovo caso, quello della pattinatrice di velocità su pista Niloufar Mardani, che fa parte della nazionale iraniana da più di un decennio e che ha gareggiato all’estero senza indossare il velo islamico, mentre la Repubblica islamica continua ad essere scossa dalle proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini, deceduta dopo il suo arresto da parte della polizia religiosa con l’accusa di aver infranto il rigido codice di abbigliamento.
Domenica Niloufar Mardani ha gareggiato a Istanbul e, al momento della premiazione, si è presentata a capo scoperto e con indosso abiti neri con la scritta “Iran” presumibilmente in segno di solidarietà con le vittime della repressione delle proteste antigovernative.
E il governo di Teheran ha reagito duramente contro la pattinatrice iraniana: “Mardani ha preso parte a una competizione di pattinaggio in Turchia senza autorizzazione”, ha detto il ministero iraniano dello Sport, citato dall’agenzia di stampa Fars.
“Questa atleta non ha indossato la divisa approvata dal ministero”, aggiunge la nota ministeriale precisando che Mardani “non fa parte della squadra nazionale dal mese scorso”.
Secondo il ministero, inoltre, la pattinatrice ha preso parte a titolo “personale “ alla competizione di Istanbul, evento a cui la nazionale iraniana non ha partecipato.
Le sportive iraniane sono obbligate a gareggiare con il velo anche durante gli eventi che si tengono all’estero.
Il suo caso ricordo quello avvenuto a ottobre e di cui fu protagonista l’iraniana Elnaz Rekabi. Che prese parte a una gara di arrampicata a Seul indossando solo una bandana in testa e provocando scalpore.
Al suo ritorno in Iran si scusò sostenendo che l’hijab le era caduto per sbaglio, sebbene molti ritenessero che il suo gesto fosse stato intenzionale.
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