Si può chiamare carne coltivata, carne artificiale, carne di laboratorio, o carne pulita. È l’ultima arrivata sulla tavola e molti la considerano la soluzione dei problemi di alimentazione dell’umanità e di inquinamento del pianeta. L’idea in realtà ha quasi un secolo e vanta come antesignano nientemeno che Winston Churchill. Nel 1931, Churchill scriveva: «Sfuggiremo dall’assurdità di allevare una gallina intera per mangiarne il petto o la coscia crescendo queste parti separatamente in un opportuno mezzo di coltura». Ed è più o meno quello che viene fatto ora, tranne che per l’anatomia delle parti. Per ottenere la carne coltivata, viene eseguita una biopsia del muscolo di un animale vivo e da questa vengono recuperate le cellule staminali del muscolo, che mantengono la capacità di moltiplicarsi per molte generazioni. La progenie di queste cellule progressivamente matura per trasformarsi in vere e proprie fibre muscolari che comprendono anche il saporito apporto di tessuto grasso. Queste fibre di muscolo artificiale vengono coltivate su matrici spugnose tridimensionali, che sono anche in grado di “esercitarle” facendole contrarre, in modo da migliorarne le qualità e il contenuto in proteine. Bastano pochi animali da cui ottenere le biopsie per produrre grandi quantità di carne.
Era stato un biologo olandese, Mark Post, che nel 2013 per primo aveva prodotto il primo hamburger sviluppato con questa tecnologia, con un costo di 250 mila euro. Decisamente troppo caro per una cena, ma Post aveva usato reagenti certificati per la ricerca biomedica. I costi da allora sono progressivamente calati, ed il primo hamburger fatto di carne di pollo coltivata ha fatto il suo debutto culinario alla fine dello scorso anno nell’esclusivo club privato 1880 sul Robertson Quay di Singapore. L’hamburger è prodotto dalla start up statunitense Eat Just e servito al modico costo di 23 dollari. Sono ora almeno 24 i diversi paesi che ospitano aziende biotecnologiche che producono carne coltivata, un boom che sembra destinato a crescere esponenzialmente. Lo scorso mese il Presidente Biden ha emesse un ordine esecutivo per «avanzare le biotecnologie e la biomanifattura verso soluzioni innovative per una bioeconomia americana sostenibile, sicura e affidabile». Un diretto vantaggio proprio per i produttori di carne artificiale.
Perché tanto interesse per la carne coltivata? Sono almeno tre i motivi. Primo, per il problema dell’alimentazione. La Food and Agriculture Organization (Fao) prevede che nel 2050 l’umanità supererà i 9 miliardi di persone, e che ci sarà quindi bisogno del 70% in più di cibo per soddisfare il fabbisogno alimentare. Paradossalmente, il consumo di carne sta crescendo soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove si sta creando una classe media che è alla ricerca di prodotti di lusso, inclusa la carne. Secondo, perché questa carne viene ottenuta in condizioni controllate in laboratorio, e non è quindi soggetta al rischio delle infezioni che affliggono gli animali allevati o alla loro esposizione ad antibiotici e pesticidi. Terzo, e per molti più importante, perché è una pratica ecologicamente sostenibile: non richiede condizioni di allevamento disumane, macellazione, consuma meno energia, produce meno emissioni gassose che danneggiano il pianeta. Per di più, nella carne coltivata la quantità di grasso può essere controllata e i grassi saturi possono essere sostituiti da grassi benefici come gli omega 3.
Gli investimenti nelle oltre 30 aziende di carne coltivata sono stati di molte decine di milioni di dollari soltanto negli ultimi due anni, anche da parte di miliardari come Bill Gates e Richard Branson. Delle 32 aziende che producono carne coltivata, il 25% è focalizzato sulla carne di manzo, il 22% su polli e anatre e il 19% su carne di maiale e sul pesce. Leonardo DiCaprio, Robert Downing Jr. e Jeff Bezos hanno invece investito in un’azienda che produce carne coltivata di salmone per fare il sushi. Due start up coltivano carne di topo come alimento per gli animali da compagnia e una su carne di canguro e di cavallo. L’ultima arrivata è Mogale Meat, una start up sudafricana che ha introdotto un tocco esotico e coltiva carne artificiale di springbok e impala, offrendo quindi la possibilità di provare il gusto di queste carni senza dover uccidere animali selvatici.
La carne di laboratorio non va confusa con i cibi che mimano il gusto della carne ma sono sviluppati su matrici vegetali in cui vengono inserite proteine prodotte nei microorganismi e strutture chimiche come l’eme che danno il gusto della carne, come gli hamburger di Impossible Foods o Beyond Meat. I prodotti di queste aziende, che sono oltre un centinaio, sono già distribuiti in maniera estesa, anche nelle catene Starbucks e Walmart negli Stati Uniti. Ma questi attirano per ora soltanto una piccola percentuale di consumatori rispetto a quelli che preferiscono la bistecca vera. E voi cosa farete quando, tra non molto tempo, il menu del ristorante vi offrirà la scelta tra una bistecca che viene da un manzo allevato, una prodotta con la carne coltivata e una terza fatta di prodotti vegetali con il gusto di carne?