TRIESTE Assoluzione perché il fatto non sussiste. La sentenza è stata pronunciata lo scorso mercoledì, dal giudice monocratico Marcello Coppari, nei confronti delle società Polese Srl di Sacile e Idea Trasporti Srl, con sede in provincia di Venezia, in relazione alle attività di sferramento e di smaltimento del materiale recuperato dai fondali del Porto di Monfalcone. Il processo faceva riferimento al decreto legislativo 231 del 2001 che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. In sostanza alle due società era stata contestata la gestione dei sedimi, in particolare il ferro, in assenza delle analisi prescritte dalla normativa. Materiale prelevato e poi trasportato nelle sedi deputate allo smaltimento. Reati ambientali, dunque, quelli per i quali le due imprese erano state chiamate a rispondere. Processo quindi conclusosi con l’assoluzione, il giudice si è riservato 80 giorni per il deposito delle motivazioni alla sentenza. Nell’ambito della discussione finale, il pubblico ministero Mery Mete aveva richiesto la condanna alla sanzione di 120 quote da 700 euro ciascuna, per un valore quindi di 84 mila euro, a carico di Polese, e 80 quote da 100 euro ciascuna, per 8 mila euro di valore complessivo, per Idea Trasporti. I fatti risalgono al 2017. Le operazioni di sferramento, e relativo smaltimento, erano state affidate dall’allora Azienda speciale per il Porto (Aspm), attività propedeutiche ai dragaggi in ordine alla manutenzione e approfondimento del canale di accesso al porto e del bacino di evoluzione. Attività di gestione di rifiuti non autorizzata, secondo la Procura. In particolare si rilevava il fatto che sul materiale ferroso recuperato dai fondali, qualificato come rifiuto ai fini della normativa ambientale, non erano state eseguite le analisi chimiche ai fini della classificazione circa la pericolosità o meno. Tecnicamente, si parla di rifiuti con “codici a specchio”, nel quale rientrava il materiale ferroso in questione, una particolare categoria quindi per la quale il detentore “è tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità”, per cui è obbligato ad effettuare indagini specifiche, volte a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza a rischio al loro interno. Sta in questi termini di massima il contesto della vicenda.
Nel corso delle indagini coordinate dalla Procura, erano intervenuti in particolare i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Udine. E nel procedimento specifico imputate sono state solo le due società, in ordine quindi alla responsabilità amministrativa. A rappresentarle sono stati gli avvocati Paolo Dell’Agnolo, del Foro di Pordenone, per Polese, Domenico Giuri e Boris Cagnin (quest’ultimo presente in aula mercoledì) per Idea Trasporti. Dalle difese è emerso che le attività erano state eseguite secondo normativa. In particolare, Polese aveva eseguito analisi su un altro materiale oggetto di bonifica, i massi prelevati dal fondo della banchina, mentre il sedime, successivamente rimasto attaccato al ferro asportato dal fondale, era stato analizzato nel suo complesso prima della gara di appalto. L’impresa, sempre come emerso dalla difesa, aveva anche provveduto a “lavare” i materiali recuperati e conferiti distintamente in appositi contenitori destinati alle sedi di smaltimento.
