Venerdì dedicato ai quarti finale della parte alta del tabellone all’Infosys Hall of Fame Open, mentre Isner e Cressy si riposano in attesa del loro confronto. Alla sua prima partecipazione al torneo del Rhode Island, il n. 36 ATP Andy Murray arrivò in semifinale e fu Justin Gimelstob a mettere fine alla sua corsa; sedici anni dopo tocca ad Alexander Bublik battere il tre volte campione Slam che lunedì dovrebbe tornare in top 50, fugacemente assaporata un mese fa dopo oltre quattro anni di astinenza. Un’ora e 47 minuti, 7-5 6-4 il punteggio maturato in a favore del kazako che, dei due, è prevedibilmente stato quello a cercare qualche invenzione in più.
Nessuna chance per chi è in risposta per dieci giochi; poi, in un “vero” scambio da erba, Andy viene punito dal passante bimane di Sasha dopo averlo costretto alla volée bassa dopo il servizio con la risposta choppata. Bublik prende atri applausi con la smorzata. Il doppio fallo di sir Andy sul 30 pari significa prima (e unica) palla break del set, trasformata al termine di uno scambio emozionante. Break confermato a 15 e primo set in archivio. Nella seconda partita, al sesto gioco, polemica di Sasha con il giudice di linea che gli ha chiamato il fallo di piede. “Sei un tennista?” gli domanda. “Lo sei, quindi spiegami come posso fare fallo di piede con il destro: secondo te, servo così?” aggiunge portando il piede destro davanti al sinistro in una posizione diciamo non ottimale.
La sfida viene decisa dal break nel game successivo, quando il n. 42 ATP sfonda le difese scozzesi con entrambi i colpi a rimbalzo. Murray cerca di rendergliela difficile al momento della verità, ma non c’è molto da fare quando entra la prima e Bublik torna in semifinale un anno dopo. Nel 2021 c’era Kevin Anderson a impedirgli l’accesso in finale, mentre questo sabato dovrà vedersela con l’australiano Jason Kubler, n. 102 ATP e tra gli ultimi 16 a Wimbledon, uscito vincitore per 7-5 7-6(3) dalla sfida con il connazionale James Duckworth, 74° del ranking.
Il ventinovenne Kubler soffre di una patologia ereditaria alle ginocchia e da adolescente si è dovuto sottoporre a diversi interventi chirurgici. Lo stesso problema lo ha tenuto fermo per un anno da marzo del 2016. Non che Duckworth, classe 1992, sia da meno, anzi: nove operazioni in una decina d’anni, distribuite tra gomito, piede, spalla e anca. Per fortuna, il derby è terminato in modo “normale”, anche se c’è stato bisogno del MTO.
Dopo aver ceduto il primo parziale 7-5 a causa dei troppi errori in quel turno di battuta e nonostante due palle per il tie-break (la seconda con un doppio fallo), nel game di apertura del secondo set Duckworth chiede l’intervento del fisioterapista per un problema alla caviglia – il piede destro gli si era “piantato” in modo innaturale su una piccola scivolata in recupero laterale. Il punteggio è di 40-15 per “Kubs” che, alla ripresa, perde quattro punti di fila e la battuta. Si ripiglia subito il maltolto e i due procedono verso il jeu decisif, con “Duckman” che nel percorso annulla due match point in battuta. Il tie-break prende velocemente la direzione del 178 cm di Brisbane (che sarebbe Kubler), anche un pizzico fortunato in un paio di punti, che può così festeggiare la prima semifinale nel Tour.