BASSANO DEL GRAPPA (VICENZA). Stefano Gheller ha sempre saputo che cosa lo aspettava. Sua madre era malata di distrofia, sua sorella è malata di distrofia e lui è malato di distrofia. È una patologia ereditaria, invalidante, degenerativa, la stessa di un altro attivista per il diritto al fine vita come lui, Piergiorgio Welby. Stefano è su una sedia a rotelle dall'età di 15 anni e ora che ne ha 49 muove solo le dita, gli occhi e la bocca. Per respirare, dipende da una macchina. Per mangiare, muoversi, andare in bagno nella casa di Cassola (Vicenza) in cui abita, dipende da un'altra persona, che riesce a pagare a fatica. Ultimamente la sua condizione è peggiorata. Ha problemi a parlare, deglutire, muovere il mouse della carrozzina, giocare ai videogame: prova dolore.
Ha scritto all'Ausl per poter ricorrere al suicidio assistito. Vuole solo sapere di poterlo fare in qualsiasi momento. In questi giorni il comitato etico ha valutato la sua richiesta e mercoledì lo sottoporrà a una visita medica per confermare che il suo stato di salute rientri nei requisiti previsti dalla legge per la procedura. Intanto, il governatore del Veneto, Zaia, e il vescovo di Vicenza, Pizziol, vogliono aiutarlo. Lui, davanti alla possibilità che l'ok delle autorità sanitarie non basti a garantirgli la possibilità di morire, dice: «C'è un dottore di cui mi fido. Nel frattempo, non rinuncio a uno spritz».
Stefano, perché ha chiesto il suicidio assistito?
«La distrofia è una malattia subdola, può aggravarsi improvvisamente. Negli ultimi mesi ho perso molte delle mie capacità di parlare e muovere le mani. Mi dicono che il prossimo passo è un intervento per alimentarmi direttamente dallo stomaco e io non voglio vivere così. Se peggioro ancora, voglio poter decidere liberamente. È un mio diritto».
Quanto dovrà attendere per avere risposta?
«Si sono mossi in fretta. Già domani (oggi, ndr), si riuniranno per valutare. Ho presentato referti medici che mostrano come debba sopportare sofferenze intollerabili e, come mi ha consigliato l'associazione Luca Coscioni di cui sono membro, ho mandato anche una perizia per dimostrare che sono nel pieno delle mie facoltà mentali».
Perché precisa di non volere la sedazione profonda, ma il suicidio assistito?
«Perché credo sia meglio sul piano mio personale e poi voglio creare un precedente perché sia approvata per legge. Oggi c'è solo una sentenza della Corte Costituzionale che fa giurisprudenza».
Ha ereditato la distrofia da sua madre, così come anche sua sorella. Cosa ne pensa lei della sua decisione?
«Da una parte non vorrebbe, ci amiamo molto. Dall'altra, rispetta la mia scelta. Capisce cosa si prova perché lo vive di persona e ha visto quello che è accaduto a nostra madre: 20 anni a letto con una tracheotomia. Se si trovasse in una situazione grave come la mia, credo che prenderebbe un'altra strada. Lei ha una bambina che ama tantissimo. Quello è uno stimolo. Se avessi dei figli, potrei resistere anch'io».
Dopo la sua richiesta, si sono fatti avanti il vescovo, Pizziol, e il governatore, Zaia. Qualcuno le ha chiesto di ripensarci?
«No. Il vescovo lo conosco e non mi ha mai giudicato. Lo rispetto molto, è una persona intelligente e si è offerto di pagarmi qualche giorno al mare. Ho sentito che Zaia vuole incontrarmi, ma di persona non abbiamo ancora parlato».
Sa che anche un parere positivo dell'Ausl potrebbe non bastare a permetterle di morire dignitosamente?
«Se l'Ausl darà l'ok, mi rivolgerò allo specialista che mi segue. Mi fido, so che mi aiuterà a farlo. Nel frattempo, cerco di godermi la vita e non rinuncio a uno spritz».