Da Sicilia e Calabria alla Lombardia, passando per Liguria ed Emilia-Romagna. Le organizzazioni criminali, in parallelo alla tradizionale tratta di migranti, ora garantiscono «servizi» aggiuntivi: ovvero una documentazione ufficiale che permetta
di uscire dalla clandestinità. Il tutto grazie alla corruzione di funzionari pubblici, poliziotti compresi.
Nelle prefetture, nelle questure, negli uffici comunali: le organizzazioni criminali che offrono pacchetti «all inclusive» ai clandestini che chiedono di regolarizzarsi in Italia si infilano ovunque ci sia da mettere un timbro. E all’impennata di ingressi illegali dell’ultimo anno (oltre 64.000 arrivi) corrisponde l’imponente numero di inchieste giudiziarie che hanno smascherato i meccanismi utilizzati dai trafficanti di esseri umani dopo gli sbarchi. In alcuni casi si parla di autentiche fabbriche di permessi di soggiorno.
La più imponente, con tutta probabilità, è quella scoperta in provincia di Roma, tra Anzio e Nettuno, dove erano stati creati falsi documenti per oltre 600 brasiliani. Nei due municipi i funzionari ancora ricordano spaventati l’ingresso dei poliziotti negli uffici di stato civile per le perquisizioni del febbraio 2020.
In quell’occasione è emerso il coinvolgimento nell’inchiesta di due impiegate dei rispettivi Comuni. La dipendente di Anzio addirittura arrestata. Gli investigatori hanno documentato un passaggio di banconote (500 euro) in una busta passata da un’avvocatessa. La funzionaria ha patteggiato una condanna a due anni e mezzo di reclusione.
Il crimine albanese, invece, era riuscito a trovare un varco nella polizia di frontiera bergamasca. Qui un sovrintendente capo è finito in carcere insieme con un’albanese che gestiva un’agenzia per le pratiche amministrative. Un vice ispettore e un assistente capo dell’ufficio immigrazione e dell’ufficio prevenzione della Questura di Bergamo, invece, sono stati denunciati. Le tariffe? Tra i 250 e i 300 euro per un timbro sui passaporti che certificava il falso transito in entrata dall’aereoporto e che garantiva il diritto di circolare in «area Schengen».
«La polizia è stata brava a fare pulizia al proprio interno», è stato il commento del procuratore Antonio Chiappani. Come a Parma, dove le pratiche avevano «un’accelerazione» se si entrava in contatto con una poliziotta assistente dell’ufficio immigrazione della Questura, poi finita ai domiciliari insieme con 11 immigrati tra pakistani, indiani e tunisini.
Gli investigatori hanno ascoltato uno degli intermediari che era in contatto con l’agente spiegare a un connazionale: «Andando da solo ci vogliono otto o nove mesi (...) se vieni da me ci vogliono 40 giorni». Saltare la fila però permetteva anche di evitare controlli imbarazzanti.
Si è appurato che nella pratica per il rinnovo di un permesso di soggiorno non era stato acquisito il casellario giudiziale di un richiedente con precedenti penali. In un’altra istruttoria, invece, mancava la verifica della permanenza sul territorio nazionale. In cambio venivano messi a disposizione capi di abbigliamento, buoni in esercizi commerciali, così come generi alimentari e pranzi al ristorante. Guai anche al commissariato di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, dove un poliziotto è finito in manette insieme a un imprenditore egiziano accusato di aver organizzato un giro di compravendite di permessi di soggiorno (che l’agente, secondo l’accusa, riusciva ad agevolare). In cambio, anche in questo caso, c’erano viaggi, abbigliamento e cene.
Una «variante» è stata introdotta a Comiso, in provincia di Ragusa. Qui venivano combinati finti matrimoni, che andavano a buon fine grazie a falsi contratti di locazione registrati all’Agenzia delle entrate. Un membro della polizia locale, secondo l’accusa, chiudeva un occhio sui controlli in cambio di 100 euro per ogni attestazione di residenza falsa. La stessa accusa ha investito la polizia municipale di Napoli. Qui però è saltata fuori anche una centrale di documenti contraffatti, realizzati grazie a un dipendente del Comune che, secondo un tariffario stabilito, forniva agli immigrati i certificati di residenza di cui avevano bisogno.
A Crotone, in un’inchiesta coordinata dal procuratore Giuseppe Capoccia che si è conclusa con 24 arresti all’inizio del 2021, sono già arrivate le prime condanne per i funzionari pubblici infedeli: cinque anni e 10 mesi per un poliziotto dell’ufficio immigrazione della Questura di Crotone e 4 anni e 2 mesi a un componente della Commissione territoriale della Prefettura. Stando alle accuse, grazie alla loro funzione ufficiale consentivano di ottenere la protezione internazionale a clandestini che non ne avevano alcun requisito. Nell’indagine è stato scoperto che alcuni «aiuti» riguardavano anche i braccianti.
Ma quello di Crotone non è l’unico caso che coinvolge una prefettura. A Savona ha ricevuto una dura condanna un ex viceprefetto, Andrea Santonastaso: otto anni e 11 mesi. Dieci anni e tre mesi, invece, per l’ispettore di polizia Roberto Tesio, ex segretario del Siulp, e sette per il dirigente amministrativo della Prefettura Carlo Della Vecchia. Grazie a loro permessi di soggiorno, cambi di cognome e riduzione di giorni di sospensione della patente si ottenevano in un batter d’occhio. Bastava ungere i giusti meccanismi.