In una regione di cui spesso si raccontano i «disastri», colpiscono efficienza e tempi veloci degli uffici giudiziari di Paola, alla ribalta per il caso di Massimo Ferrero, l’ex presidente della Sampdoria: 157 giorni per smaltire i fascicoli, contro una media nazionale di 323. Il segreto? Informatizzazione, certo, ma soprattutto uso intelligente delle risorse umane. E nel mirino di inchieste delicate finiscono sindaci, funzionari e imprenditori disonesti.
«Er Viperetta» stavolta è stato morso dalla Procura di Paola. Massimo Ferrero, l’ex presidente della Sampdoria, è finito in carcere nell’ambito di un’inchiesta coordinata dal procuratore capo Pierpaolo Bruni, 53 anni, e dai sostituti procuratori Maria Francesca Cerchiara, 48, e Rossana Esposito, 46, che con i giudici delle indagini preliminari Rosamaria Mesiti, 38, e la collega Maria Grazia Elia, 43, mandano avanti una macchina complessa ma efficiente, con giurisdizione su un territorio molto vasto quale la Costa tirrenica cosentina. Un gruppo di lavoro «giovane», per gli standard della giustizia italiana, che da anni si occupa di inchieste delicate.
I risultati positivi dell’ufficio calabrese si allineano con quelli dell’Europa, se si tiene conto delle indicazioni della Commissione di Bruxelles che comparano i diversi sistemi giudiziari. Questo trend è una notizia nella regione che quasi sempre si racconta come «disastrata». Nonostante lockdown e pandemia, infatti, i tempi della procura sono rapidissimi: l’arretrato da un paio d’anni praticamente non esiste. Qui si lavora quasi esclusivamente sul «corrente» e in particolare sui procedimenti iscritti nel 2021.
Emblematico è il veloce disbrigo dei fascicoli. Per quelli riguardanti i reati di competenza del Tribunale la durata media è 157 giorni; mentre per quelli di competenza del Giudice di pace scende a 126. Dati significativi se si confrontano con quelli nazionali, dove di giorni ne occorrono 323.
A questi record si è arrivati anche grazie a metodi di lavoro decisamente evoluti per la pubblica amministrazione, puntando sull’informatizzazione, così come sulle «risorse umane». Nella procura vengono quindi valorizzate le professionalità dei magistrati e del personale amministrativo e si condivide la partecipazione a un modello di investigazione innovativo.
Anche nei giorni frenetici che hanno seguito l’arresto di Ferrero e che l’ha messa sotto i riflettori della cronaca, la procura ha continuato nella sua azione, con il tradizionale profilo riservato. Il procuratore capo, nato a Crotone e che da anni vive sotto scorta perché più volte sfuggito ad attentati della ’ndrangheta, non rilascia interviste. Più facile, invece, è incrociarlo al termine di un’udienza quando, deposta la toga, offre un caffè a patto che «non si parli di lavoro o di inchieste».
Quando gli si fa notare che ci sono dei numeri che fotografano una realtà calabrese virtuosa, si riesce finalmente a strappargli una battuta perché, tiene a precisare, «il merito va ai sostituti della procura, ai magistrati della giudicante, al personale amministrativo e alla Polizia giudiziaria. Solo grazie alle loro doti professionali e umane si riesce a far fronte a una grande mole di lavoro».
In particolare, la Procura opera in sinergia con il presidente del Tribunale, Paola del Giudice, e con il presidente della sezione penale, Alfredo Cosenza. E i magistrati hanno instaurato buoni rapporti professionali anche con gli avvocati, concretizzati in protocolli di collaborazione per ottimizzare il servizio giustizia.
Il segreto per questi successi? A spiegarlo è la responsabile dei servizi penali della Procura, Anna Lorelli: «Il personale amministrativo ha professionalità e soprattutto, vogliamo ripeterlo, importanti competenze informatiche. Si utilizzano moduli digitali che velocizzano il lavoro e che consentono riscontri immediati nei vari passaggi burocratici».
Negli ultimi anni la procura, l’ufficio del gip e il Tribunale si sono occupati di inchieste complesse, soprattutto per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione e quelli societari: ci sono state indagini importanti su funzionari, assessori e sindaci infedeli, professionisti asserviti a pratiche distorte, imprenditori che hanno scelto l’illegalità, alcuni dei quali già condannati.
Ecco che sotto la lente dei magistrati sono finiti i lavori pubblici e i rapporti con logge massoniche deviate che hanno condizionato le amministrazioni, spesso infiltrate da interessi criminali. C’è, per esempio, l’illecita gestione della depurazione in un territorio a vocazione turistica quale l’Alto Tirreno cosentino. Ancora: l’inchiesta Archimede, che ha coinvolto un ex sindaco e responsabili dell’Ufficio tecnico comunale, ha ricostruito le loro manovre per avvantaggiare vari operatori economici negli appalti.
Gli inquirenti hanno scoperto che, in alcuni casi, le imprese impegnate nella gestione degli impianti di smaltimento avrebbero «diluito» con acqua potabile i fanghi reflui, e nocivi, per rendere accettabili i risultati delle analisi. A volte erano dispersi su terreni, anziché in discariche certificate, dove il trattamento sarebbe stato ben più dispendioso.
In un’altra indagine è emerso il condizionamento delle logge massoniche in appalti pubblici per centinaia di migliaia di euro, riguardanti per esempio la messa in sicurezza di strade o scuole in Calabria e Basilicata. E poi, la sanità privata: qui, le indagini sul fallimento di una clinica (in passato punto di riferimento per tutta la regione e poi trasformata in una sorta «bancomat» dai proprietari) ha portato a condanne già confermate in secondo grado.
A proposito di sentenze, il Tribunale e l’ufficio del gip possono vantare un ulteriore traguardo: nel corso di un triennio le pendenze dei processi sono state abbattute di quasi il 45%. Il «modello Paola» funziona, insomma. E potrebbe, dovrebbe, fare scuola.