Nuovi titoli, attesi ritorni, granitiche certezze. Nel mare magnum delle serie tv ce n’è davvero per tutti i gusti sulle piattaforme streaming e le vacanze di Natale sono l’occasione giusta per un po’ di binge watching (stile maratona televisiva) o semplicemente per recuperare ciò che non si è avuto tempo o voglia di guardare negli ultimi mesi. Dal gran finale di Gomorra al geniale Il metodo Kominsky, dal ritorno di Carrie Bradshaw in And just like that al fenomeno Squid Game, ecco dieci titoli per tutti i palati.
La serie ha debuttato nel luglio del 2016 ma è così ben fatta che sembra essere stata rilasciata ieri ieri. Provocatoria, ironica, politicamente scorretta ma anche cinica (a tratti così tanto da rasentare lo sgradevole) e rivoluzionaria nel suo infrangere tutti i tabù. Phoebe Waller-Bridge incarna un’antieroina strepitosa, autolesionista, incapace di elaborare il lutto della perdita di una cara amica e di gestire i rapporti con gli uomini (finisce pure per innamorarsi di un prete). Per non farsi sopraffare da tutto, è costretta a riprende da sola le redini della propria vita. Due sole stagioni sono poche. Peccato.
È il culto del momento. Chi si ferma all’eccesso di «romanità» di Zerocalcare o dell’Armadillo (la voce è quella di Valerio Mastrandrea), la coscienza di Zero, quello che inchioda il protagonista alle sue responsabilità e gli fa notare che non è vittima di una cospirazione cosmica, non ha guardato la serie animata del geniale fumettista con lo sguardo giusto. Ironica, canzonatoria, struggente, straniante. Le prime due puntate sembrano un ammasso di situazioni, poi il racconto prende la sua strada e viaggia tra dubbi esistenziali, la paura del fallimento e un punto di vista unico sul mondo.
Carrie e le altre sono tornate. Hanno qualche anno e molto botox in più, fanno meno sesso di una volta (forse non è un caso che la serie non si chiami più Sex and the city), sono meno sfrontate ma sempre fashioniste e parecchio inchiodate ai loro cliché. Manca Samantha, e si sente: dopo i litigi con le altre colleghe, Kim Cattrall ha detto addio al progetto e la sua assenza è stata colmata da personaggi più o meno dimenticabili. La partenza è col botto – non vale più come spoiler dire che Mr. Big muore d’infarto alla prima puntata perché è stato scritto ovunque -, col passare delle puntate si sgonfia un po’ come un soufflé. Ma piacerà a chi non teme le operazioni nostalgia.
Una fiaba dark, distopica e spesso brutale ambientata in una Sicilia post-apocalittica. Avrebbe meritato ancora più successo Anna, la serie di Niccolò Ammaniti, che narra l'incredibile viaggio che la giovanissima protagonista (l'esordiente Giulia Dragotto, come esordiente è quasi tutto il cast) dovrà intraprendere fra le rovine della civiltà che fu (un virus ha ucciso tutti gli adulti e restano in vista solo i bambini e gli adolescenti), in cerca di un futuro possibile per sé e per il fratellino Astor. Tutto è perfettamente a posto, dalla regia alla fotografia di Gogò Bianchi fino alla scenografia di Mauro Vanzati.
Il metodo Kominsky è un gioiellino che dopo tre stagioni è arrivata alla sua conclusione: gli sceneggiatori avrebbero potuto allungare il brodo ma si sono fermati prima di fare inutili danni. I protagonisti sono due grandi star come Michael Douglas (strepitoso nei panni di Sandy Kominsky, un attore che non è mai riuscito a fare il grande salto) e Alan Arkin (è Norman Newlander, il suo agente straricco). C’è tutto: tempi comici perfetti, scrittura impeccabile, umorismo sofisticato e a tratti amaro. Si ride molto e ci si commuove pure.
Non è una serie tv tout court ma è scritta (e pensata) così bene che lo diventa. Tecnicamente è un cooking show ma non ci sono gare né aspiranti chef a darsele di santa ragione. È una sorta di Linea Verde 3.0 con molto budget e con un inedito Carlo Cracco che esce finalmente dal cliché del cuoco-giudice urlante e porta in giro per la provincia italiana star come Sabrina Ferilli, Pierfrancesco Favino e Diego Abatantuono. Ogni puntata ha il suo protagonista, un pezzo d’Italia poco raccontata e personaggi surreali e specialissimi. Ogni episodio è inframezzato da una cena con tutto il cast che si trasforma in uno dei più gustosi e divertenti show comici visti in tv negli ultimi anni. Merita un bis.
Gli appassionati della serie che ha riportato le produzioni italiane sul palcoscenico internazionale devono ancora asciugarsi le lacrime per il gran finale che ha lasciato tutti a bocca aperta (no spoiler). La sesta stagione non ci sarà, dunque tanto vale gustarsi il clamoroso ritorno di Ciro Di Marzio, l’iconico Immortale, che Genny Savastano dal bunker dov’è costretto alla latitanza, scopre essere ancora vivo e nascosto in Lettonia. Il loro incontro vale il prezzo del biglietto. E poi Marco D’Amore e Salvatore Esposito sono bravissimi.
Dopo sette stagioni, la serie con Jane Fonda e Lily Tomlin sta per giungere al termine (gli ultimi episodi sono in arrivo nei primi mesi del 2022O e in fondo è giusto mollare al massimo splendore per lasciare un buon ricordo. Grace and Frankie è una serie geniale, racconta la terza età in maniera così anticonvenzionale e sregolata e lo fa così bene che in pochi anni è diventato un cult. C’è dentro tutto: le protagoniste che scoprono la relazione gay tra i rispettivi mariti, l’amicizia, le liti, il sesso, i sex toys, una surreale famiglia allargata, amori sbagliati, geniali ottantenni, soldi nascosti nel divano da un marito che ricicla denaro. Di tutto di più, ma mescolato con grande sapienza.
Dopo appena ventitré giorni, a metà ottobre, la serie era stata vista da oltre 132 milioni di persone, dieci giorni dopo erano già diventati 142. Quanti siano in questo momento è impossibile dirlo (Netlix ha un rilascio «creativo» in fatto di dati di visualizzazioni) ma in ogni caso Squid Game è la serie fenomeno del 2021, capace di generare 900 milioni di dollari di introiti e fiumi di polemiche. Il plot è questo: centinaia di persone a corto di denaro accettano uno strano invito a competere in giochi per bambini ma non sanno che li attende un premio invitante e che la posta in gioco è mortale.
Nella Napoli degli anni ’30, in pieno regime fascista, il commissario Ricciardi è chiamato a scoprire cosa si cela dietro alcuni misteriosi delitti e lo fa grazie a delle inspiegabili intuizioni: vede i morti, ne coglie gli ultimi istanti di vita. Tratto dai romanzi di Maurizio de Giovanni, è una delle serie Rai più belle degli ultimo anni: Lino Guanciale, malinconico e sfuggente, è impeccabile nel ruolo di Ricciardi, la regia di D’Alatri regala atmosfere perfette, la cura nella scelta dei personaggi (come il Brigadiere Maione) e dei caratteri è chirurgica. Una vera chicca da Servizio Pubblico.