UDINE. All’orizzonte di 23 anni di nebbia, tra dolore, rabbia e processi azzerati, da qualche settimana si staglia un barlume di luce.
Che non significa ancora preludio di una verità che si è voluto e saputo tenere così a lungo nascosta, ma che lascia aperta la speranza che le indagini, questa volta e nonostante il tempo trascorso, possano imboccare la direzione giusta.
Nel fascicolo aperto più di un anno fa dalla Procura di Udine sulla strage dell’antivigilia di Natale del 1998, e cioè sullo scoppio della bomba in viale Ungheria in cui persero la vita tre agenti della Squadra volante della Questura, qualche mese fa è stato iscritto il nome di un indagato.
L’unico o uno dei pochissimi, stando alle pochissime informazioni trapelate, considerata l’estrema riservatezza mantenuta dagli inquirenti sul caso.
Nei confronti dell’uomo, un friulano di 69 anni residente a Premariacco, i pm che coordinano le indagini - il procuratore facente funzioni Claudia Danelon e il sostituto Giorgio Milillo - hanno formulato l’ipotesi di reato del favoreggiamento personale.
Di più, lo stesso indagato e l’avvocato Luisa Monai, che lo difende, non sanno. «A quanto emerso in occasione della notifica dell’atto di garanzia – afferma il legale –, in realtà, si ipotizzerebbe addirittura un concorso nel delitto».
E questo perché, tra le domande rivoltegli informalmente dalla polizia giudiziaria, «c’è stata anche quella – spiega – volta a sapere se fosse stato lui a portare la bomba a Udine, con la sua automobile, la notte antecedente il suo impiego».
Da qui, nei giorni scorsi, la richiesta di disporre sia l’audizione della moglie dell’indagato, per consentirle di testimoniare come, all’epoca, entrambi si trovassero in Abruzzo, sia accertamenti bancari volti a raccogliere il riscontro dei prelievi che l’uomo effettuò con il proprio bancomat in quella stessa regione per tutto il mese di dicembre.
A riprova – questo l’intendimento della difesa – della sua presenza stabile in un territorio diverso dal Friuli.
Condotta dalla Squadra mobile di Udine, guidata dal vicequestore Massimiliano Ortolan, l’inchiesta, aperta dopo che nel 2014 la Cassazione ha chiuso senza colpevoli il processo che aveva indicato in una banda italo-albanese la responsabile della strage, ha incamerato una mole immensa di materiale documentale e testimoniale.
Tra le decine di persone in qualche modo coinvolte nella vicenda e sentite nuovamente dagli inquirenti, anche il commerciante Paolo Albertini, oggi 63enne e all’epoca titolare del “Centro autoradio”, sulla cui serranda, alle 5.50, esplose l’ordigno che uccise Giuseppe Guido Zanier, 34 anni, Adriano Ruttar, 41 e Paolo Cragnolino, 31.
