BORGOFRANCO D’IVREA. «Ti cerco per tutta Ivrea e poi ti ammazzo». È solo una delle tante frasi che un uomo avrebbe pronunciato verso sua moglie. La donna, nel ricordare le vessazioni che ha denunciato, scoppia in lacrime in aula di tribunale, davanti al collegio composto dalle giudici Elena Stoppini, Stefania Cugge e Antonella Pelliccia. Secondo l’accusa formulata dalla pm Elena Parato sarebbe stata continuamente umiliata, denigrata, da un uomo diventato possessivo, geloso, maniaco del controllo. Tutte vessazioni psicologiche, perché come ammetterà la persona offesa in aula, lui non l’ha mai picchiata. Sufficienti a determinare un’accusa per maltrattamenti in famiglia con l’aggravante di aver commesso il fatto di fronte ai figli minorenni (e, proprio tutelare la loro privacy, omettiamo il nome dell’uomo).
Secondo la testimonianza della donna la relazione è andata bene fino al momento del matrimonio. Poi, dopo le nozze, lui ha cominciato a cambiare. Si ubriacava spesso, troppo spesso. Passava molto tempo fuori casa.
Gli episodi contestati sono raccolti in un arco temporale di sei mesi. La prima volta l’avrebbe minacciata di morte al mare, uscendo dall’acqua con un coltello da sub che teneva legato al polpaccio. Un’altra volta invece le avrebbe urlato contro e avrebbe divelto anche la porta della stanza in cui si trovava. Diversi gli episodi in cui l’avrebbe minacciata di morte. Uno di questi è stato anche confermato da una vicina di casa. Una volta le avrebbe tolto le chiavi dell’auto costringendola a farsi venire a prendere da un collega, un’altra invece avrebbe minacciato di spaccarle i freni.
La donna, comunque, ha rimesso le querele dopo la fine della relazione con l’uomo, che a un certo punto si è allontanato di casa.
L’avvocato Mattia Fiò del foro di Ivrea, che difende l’imputato, è tuttavia convinto che quelle condotte non bastino a contestare il reato di maltrattamenti in famiglia. Sottolinea come in questo caso, infatti, la «sopraffazione» debba essere «sistematica e continua». «La Cassazione nel 2016 - argomenta Fiò -, ha spiegato come il reato non sia configurabile se, nonostante l’atteggiamento prevaricatore del marito nei confronti della moglie, questa reagisce alle intemperanze dell’uomo, non assumendo, quindi, un atteggiamento di passiva soggezione». L’ultima parola spetterà alle giudici.