La settimana scorsa la richiesta urgente di Terna della riaccensione della centrale, ferma ormai da mesi con tutto il personale in solidarietà, per l’aumento improvviso di richiesta di energia
MONFALCONE La gravissima crisi energetica causata dalla pandemia con il prezzo del gas alle stelle (55 euro a megawattora, cinque volte più della media del 2020) e con un prezzo dell’elettricità di 220 euro a megawattora (contro una media del 2020 di 42 euro), ma anche l’abbassamento delle temperature con aumento della richiesta energetica, hanno imposto la riaccensione della centrale termoelettrica A2A di Monfalcone. Martedì la ripartenza della centrale che funziona a carbone e che ha ripreso a reimmettere energia nella rete.
La settimana scorsa la richiesta urgente di Terna della riaccensione della centrale, ferma ormai da mesi con tutto il personale in solidarietà, per l’aumento improvviso di richiesta di energia. A2A sabato scorso, dopo un accordo, ha richiamato al lavoro tutto il personale di Monfalcone che era a casa, oltre 100 persone, e ha iniziato la procedura di riavvio della centrale, in sonno, riaccendendo i gruppi a carbone per garantire la fornitura elettrica e garantire stabilità all’intero sistema elettrico italiano.
Nessun commento da parte di A2A, solo la conferma della riattivazione, completata appunto dal 7 dicembre, della centrale. Non è stato fatto alcun nuovo approvvigionamento di carbone, l’emergenza non era nelle previsioni. Si va avanti a “vista”, in balia del mercato energetico impazzito a causa del Covid (gli analisti prevedono un ritorno alla normalità soltanto nel secondo semestre del 2022) con la necessità di utilizzare tutti gli impianti in Italia, quello a carbone di A2A in prima linea. Non si sa se sarà necessario a questo punto rifornire ancora la centrale (per ora si utilizza il carbone rimasto) ma quello che è certo è che la centrale ha le autorizzazioni a operare fino al 2025 e che ora, per esigenze “nazionali” funzionerà fino a quando Terna non dichiarerà conclusa l’emergenza.
Un’evidenza macroscopica quella emersa a Monfalcone, di riflesso alla situazione nazionale, e che pone seriamente la questione del fabbisogno energetico dell’Italia e che proprio in queste settimane, lo mettono in evidenza i sindacati di categoria (Filctem Cgil, Cisl Reti e Uiltec-Uil) sta mettendo in discussione lo slittamento al 2028 dell’uscita del carbone in Sardegna. La situazione energetica è grave, il costo dell’energia per le famiglie (anche per la transazione energetica) rischia di diventare insopportabile con i prezzi lievitati delle bollette. Tutto questo è riuscito a mettere a tacere il dibattito “trasversale” presente in città, che i sindacati definiscono «irresponsabile», in merito alla riconversione della centrale termoelettrica a gas e poi a “blend misto” metano/idrogeno. Nessuno stop alle fonti rinnovabili, anzi, solo un richiamo alla realtà dei sindacati che sostengono, come tanti esperti che per la transizione il passaggio del gas e di altre fonti energetiche sarà indispensabile.
«Le fonti rinnovabili – spiegano in una nota i segretari regionali di Filctem Cgil Andrea Modotto, Alfeo Lenardis della Cisl Reti e Nello Cum di Uiltec - da eolico e solare oggi coprono solo il 16% (arriviamo al 38% con idroelettrico, geotermia e altro) della nostra produzione elettrica e la loro discontinuità, non avendo ancora risolto il problema dello stoccaggio con le batterie, è fonte di problemi di stabilità per le reti di distribuzione. Come affrontiamo la transizione energetica, se vogliamo elettrificare tutti i consumi del Paese in queste condizioni?».
Appare quindi evidente, concludono i sindacati, che l’impianto termoelettrico di Monfalcone «contrariamente a quanto dichiarato dall’amministrazione comunale e da una buona parte della politica locale, è quanto più che necessario per la tenuta del sistema elettrico a sostegno del nostro manifatturiero e a prezzi sostenibili per le famiglie e le imprese».