LUBIANA. Profumo di caldarroste, foglie morte, il cielo grigio colora Lubiana donandole un tremolio di riflessi quasi fosse un quadro di Monet. Impressioni d’autunno, ma non di un autunno qualsiasi.
Questo è il secondo e il più duro autunno impregnato di Covid-19, una sorta di sortilegio che imprigiona la capitale, facendola somigliare a una qualsiasi città di provincia, implosa in se stessa, chiusa, logora e stanca.
Tromostovje, esterno giorno, il freddo umido ti si attorciglia alle ossa. La gente cammina, ma ha gli occhi stanchi, rassegnati. Tutto sembra grigio, di un colore neutro quasi palpabile.
Più in là ti risvegli dal tuo spleen grazie agli sgargianti colori della frutta, della verdura, esposti al mercato: un cluster perfetto per sua maestà Covid.
Qui nessuno ha le mascherine nonostante ci si urti uno con l’altro, ci si accalchi davanti lo stesso banchetto della frutta.
I venditori non sono da meno e di guanti di plastica per maneggiare la materia prima neanche l’ombra.
La signora Majda, 85 anni, un naso schiacciato tra due gote rosse, vende mazzetti di fiori secchi a fianco della cattedrale. «Il Covid?», sposta gli occhi e un dito al cielo «siamo stati troppo cattivi».
Nei bar la gente si ostina, fino a quando la temperatura lo permetterà, a stare all’aperto. Se vuoi entrare devi mostrare il Green pass, te lo chiedono in ogni locale pubblico.
Ljudmila, 24 anni, universitaria di filosofia ma cameriera per pagarsi gli studi, serve ai tavoli con la sua mascherina nera da cui risaltano ancor più due occhi blu come l’Adriatico.
«Sì, stiamo lavorando un po’ di meno per il Covid soprattutto a novembre». «Ma perché c’è un’epidemia così potente qui in Slovenia?», si stringe nelle spalle, «non so», bofonchia e va a servire una famigliola appena sedutasi a un tavolo.
Lungo la Ljubljanica una vecchia senza tetto spinge il suo carrello da supermercato con tutti i suoi averi, più in là un signore porta a passeggio il suo struzzo, personaggi disegnati da Pennac si affannano passeggiando verso il nulla.
In Kongresni trg al margine di un mare di foglie secche di platano una lunga fila si dipana da un piccolo container banco e azzurro. Attendono in silenzio di poter fare il tampone o il test rapido, 85 euro il primo, 12 euro il secondo. Sono rassegnati.
Nei grandi magazzini del centro, dove entri solo con il Green pass, controllato da un addetto, ma non verificato con alcuna applicazione, c’è il deserto. Clienti rarissimi e commesse con le braccia conserte, qualcuna piega magliette che nessuno ha sgualcito.
I pochi compratori indossano tutti la mascherina. «Ma è sempre così?» Confermano col capo e ti guardano come avessi fatto la più stupida domanda del mondo.
L’addetto alla sorveglianza gira indefesso e racconta che c’è solo qualche singolo provocatore che entra senza controllo alla porta e senza mascherina.
Viene subito bloccato e se insiste a non voler rispettare le norme si chiama la polizia. Le multe variano dai 4 mila ai 100 mila euro.
Il pomeriggio passa letargico, Lubiana sembra vuota. Molti l’hanno lasciata in mattinata. In autostrada una lunghissima coda di automobili correva verso Capodistria e il mare, l’ultimo week end prima dell’ulteriore giro di vite anti Covid deciso dal governo.
Ci sono ancora dei turisti in giro che con le guide girano per la città e si affollano in capannelli senza mascherine e senza rispettare la distanza di sicurezza interpersonale.
Gli amici che si incontrano non si danno la mano, nè si abbracciano, ma quando si mettono a parlare è lo stesso pericoloso quadro dei turisti di cui sopra.
È al calar del buio che Lubiana torna a respirare il fiato impudente dei giovani. Il popolo della movida si impossessa delle strade del centro e delle stradine della città vecchia.
Scollature vertiginose sotto i cappotti, tacchi a spillo e minigonne da capogiro sostano davanti ai bistrò alla moda con l’immancabile aperitivo in mano, sacerdotesse con il loro calice che celebrano il rito di passaggio della notte.
Attorno a loro giovani che parlano ad alta voce le circondano come api laboriose nell’alveare, passi con la mascherina accanto a loro e ti guardano come fossi un lebbroso. Decisamente non sei cool.
I primi ubriachi si arrendono appoggiandosi ai muri, la mascherina sul collo imbevuta di vomito e dolore. Una Porsche Cayenne sgomma all’incrocio, vetri oscurati, trasporti proibiti.
Lubiana ora sembra una metropoli uscita da un libro di Philip Dick. E questa sera, qui, forse gli androidi sogneranno pecore elettriche. —
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