TREVISO. A dicembre i trevigiani spenderanno dieci milioni di euro in più dell’anno scorso, pur acquistando le stesse cose. Il caro alimenti, già visibile nell’ultimo anno a chiunque sia entrato in un supermercato, subirà un’accelerazione nel prossimo mese, a causa dei continui aumenti delle materie prime, compresi mais, grano, soia, foraggio.
Pane e pasta costeranno, a Natale, il 10% in più rispetto a oggi, pandori e panettoni non faranno eccezione. Pesce, carne, salumi, frutta e verdura aumenteranno, secondo Coldiretti, almeno del 2,5%. Il tutto in un contesto di rincari generalizzati su qualsiasi tipologia di merce. Se a dicembre 2020 i trevigiani avevano acquistato beni alimentari per 192 milioni di euro (dato Confartigianato), quest’anno gli stessi beni costeranno 202 milioni, con un rincaro del 5%.
Prezzi raddoppiati in un anno
«È in atto da qualche mese un aumento degli alimenti per gli animali da carne e da latte: foraggio, soia, mais, costano il 30% in più, e di conseguenza anche alimentare gli animali costa di più» spiega Giorgio Polegato, presidente provinciale di Coldiretti. «Difficile quantificare quanto saranno gli aumenti, lo deciderà la grande distribuzione. Nessuno risponde al momento, tutti tergiversano e non vogliono essere i primi ad aumentare. Ma gli aumenti ci saranno. Credo che alla fine avremo un 10% in più, in linea di massima, sui prodotti alimentari. Una parte dovrà assorbirla il produttore, una parte il trasformatore.
I prodotti più esposti? La pasta, la carne, il vino, il pane, perché le farine sono aumentate parecchio, come tutto ciò che deriva dai campi. Erano anni che non vedevamo una situazione così grave e così pesante da gestire, anzi, diciamo che una cosa del genere non l’abbiamo mai vista, i prezzi sono raddoppiati in un anno».
Il braccio di ferro
«Finora i prezzi di latte e carne non hanno avuto un aumento così sensibile» osserva Polegato, «alla fine viene penalizzato il primo anello della filiera, il produttore, che cerca di tenere bloccati i prezzi. A gennaio però il rincaro ci sarà, pensiamo alla pasta fatta con il grano, che ha aumenti del 30-40%. C’è un braccio di ferro con la grande distribuzione, ma l’aumento sarà inevitabile. I nostri allevatori vivono un momento di grande difficoltà, hanno costi maggiorati per gestire la stalla ma i loro prodotti non vengono pagati in proporzione».
Fornai e pastifici
«La stangata d’autunno dei prezzi colpisce il settore alimentare» evidenzia Franco Conte, presidente di Codacons Veneto. «L’aumento di gasolio e benzina, e di Gpl e metano oltre il 120% in un anno, non poteva che ripercuotersi sui prezzi degli alimentari. Prediamo il pane e la pasta: gli elementi che ne determinano il prezzo sono la farina, l’energia per il trasporto e la produzione, la manodopera.
Di fronte ad aumenti di materie prime strategiche ci si rende conto dell’allarme: pasticcieri (zucchero più 32%), fornai e pastifici (grano più 35%). Non meno drammatico la situazione degli allevamenti: mais più 35% e soia più 15%. Di fronte a questa situazione tragica per gli imprenditori e per i consumatori, colpisce l’inerzia totale delle amministrazioni. Stiamo cercando con il lanternino iniziative, fatti, non comparsate televisive, che indichino un percorso efficace che aiuti le imprese e tuteli i consumatori».
Le proposte
Codacons ha bussato più volte alle porte della Regione: «La nostra proposta di sollecitare controlli efficaci sulla catena degli aumenti è caduta nel vuoto» continua Conte. «La proposta di favorire consorzi per gli acquisti che consentano di mitigare gli incrementi giace pure senza risposta.
Il Veneto, grazie alla sua rete di micro e medie imprese, ha dato risposte flessibili, efficaci, capaci di cogliere l’opportunità di una ripresa da “dopoguerra”, ma la classe dirigente politica ci pare lontana e distratta rispetto a queste emergenze. Registriamo positivamente che associazioni di categoria come Confindustria, Coldiretti, Confartigianato e Cma si stanno mobilitando».
«La semola di grano duro è più che raddoppiata, una crisi così pesante solo negli anni Settanta»
Carenze nelle materie prime e cambiamenti climatici fanno volare il prezzo delle farine: aumenti in arrivo per il pane pure nella Marca. Per quello in semola di grano duro, si prevede un balzo nel prezzo del 4%. Anche se Coldiretti, di qui a gennaio, stima addirittura un aumento generale del 10%. Tradotto per il consumatore: il costo del pane di grano duro, il più colpito dagli incrementi, lieviterà di almeno 10-20 centesimi al chilo. E se il prezzo medio del tipo "Altamura" è 5,10 al chilo, presto si salirà a 5,30.
«Cercheremo di resistere il più possibile, ma alla lunga bisognerà intervenire sui prezzi», ammette Tiziano Bosco, presidente panificatori Unascom Treviso. Sul banco degli imputati anzitutto la semola di grano duro, il cui costo è più che raddoppiato negli ultimi due mesi. Più contenuto l'incremento per la farina di grano tenero, già di suo soggetta a frequenti oscillazioni nel prezzo: i panificatori di Unascom Treviso riferiscono di un balzo del 2-3% rispetto ad agosto.
«Se però l'aumento nella farina di tipo "0" può essere assorbito, il problema vero è per quella di grano duro», attacca Bosco, titolare dell'omonimo negozio di Treviso in viale Monte Grappa, «se a fine agosto un chilo lo pagavi 50 centesimi, ora ti servono 1,10 euro, o persino 1,20. Un balzo imprevedibile, un'impennata in brevissimo tempo».
Balzo determinato dalle ondate di caldo record che hanno dimezzato il raccolto nel Nord America. Balzo che prende forma parallelamente agli aumenti di gas e benzina. Una disperazione, insomma, per gli operatori del settore. Tanto che il tema è stato affrontato in recenti convegni e assemblee di categoria: c'è chi ha evidenziato come si debba risalire addirittura agli Anni '70, ossia ai tempi della crisi energetica e delle domeniche a piedi, per ritrovare un momento storico così tribolato. le speculazioni«Ma c'è pure chi sta speculando», incalza il presidente dei panificatori Unascom Treviso, «c'è chi ha approfittato dell'era Covid per tenere deliberatamente ferme le scorte. Con l'effetto di far aumentare i prezzi e guadagnarci di più.
Ma c'entrano pure i cambiamenti climatici, che hanno condizionato raccolto e produzione. Il riferimento è ai mercati americano e dell'Est Europa». Con la semola di grano duro, si fanno pane, pizza e focacce. Anzitutto pani pugliesi e siciliani. I rincari, alla luce del grido d'allarme della categoria, sono dietro l'angolo. «Potranno essere nell'ordine dei 10-20 centesimi al chilo», e a Natale riguarderanno anche pandori e panettoni.
Come conferma Mario Boccanegra, dell'omonima panetteria a Castelfranco: «Purtroppo dovremo ritoccare a breve i costi. Oltre alle farine, purtroppo stanno aumentando le bollette: luce, gas. C'è stato un balzo pure per burro e uova». S'accoda Claudia Vedelago dell'omonimo panificio di Istrana: «C'è il problema nel reperimento delle materie prime, dobbiamo sopportare le impennate di benzina e bollette. Cercheremo di venire incontro al cliente, trattandosi di un bene di prima necessità: l'aumento sarà almeno di 10-15 centesimi».
Pasta Zara rivedrà i listini: «Colpa del caldo in Canada»
«Stiamo rivedendo tutti i listini, saremo costretti ad aumentare». Furio Bragagnolo, presidente Pasta Zara, casa madre a Riese e produzione annuale da 290 mila tonnellate di pasta, non fa giri di parole, evidenziando come l’incremento nel prezzo della semola di grano duro si sommi a quelli dell’energia, dei trasporti, della carta. E così, il balzo nel costo della pasta sarà inevitabile: «Allo scaffale del supermercato, il consumatore ha già notato un primo incremento a settembre. Il secondo arriverà entro fine anno».
Ma Bragagnolo intende andare pure alla radice del problema: «Il guaio è che l’Italia sconta una forte dipendenza da altri Paesi per il grano duro. Importiamo il 40%, grandi quantitativi arrivano dal Nord America. E, purtroppo, stiamo pagando gli effetti del caldo record che ha colpito il Canada: di solito producevano sei milioni di tonnellate, ma quest’anno il quantitativo risulterebbe dimezzato. Senza contare che il raccolto non è stato ottimale neppure in Nord Africa. Speculazioni? In minima parte. Il problema principale è la mancanza del prodotto: pagheremo tutto ciò almeno fino al prossimo raccolto».
Poi dà le cifre: nel 2020 il grano duro costava 210 euro alla tonnellata, ora siamo a 540-550. Raccolti infausti che devono fare i conti con altri problemi: «È aumentato il costo dell’imballo primario e secondario del pacco di pasta, confezionato per la vendita», rimarca il presidente di Pasta Zara, pastificio che nel 2020 ha fatturato 200 milioni di euro, «ossia sacchetto e cartone. Ma si deve pagare in più pure per l’energia e il trasporto, persino i pallet in legno per caricare la merce. Tutto, purtroppo, aumenta. E, con un quadro simile, aumenterà per forza pure la pasta».
Quando si vedrà l’uscita dal tunnel? «Molto dipenderà dal meteo. Bisognerà vedere come andrà il prossimo raccolto».