Dal1° al 9 ottobre il celebre capolavoro nel nuovo allestimento per le regia di Alberto Triola e Libero Stelluti. Maestro concertatore e direttore Francesco Ivan Ciampa
TRIESTE “Madama Butterfly” ritorna in scena al Teatro Verdi di Trieste. Venerdì alle ore 20.30 prima rappresentazione del capolavoro di Giacomo Puccini con i versi di Illica e Giacosa ispirati dall’omonimo dramma di David Belasco nell’allestimento della Fondazione Teatro Lirico Verdi di Trieste per la regia di Alberto Triola in collaborazione con Libero Stelluti. Maestro concertatore e direttore è Francesco Ivan Ciampa, maestro del Coro Paolo Longo. Nel cast Evgeniya Muraveva/Federica Vitali nel ruolo del titolo e Francesco Castoro/Riccardo Rados in quello di Pinkerton, accanto a Elia Fabbian/Luca Galli (Console Sharpless) Na’Ama Goldman (Suzuki) Andrea Schifaudo (Goro) Dario Giorgelè (Principe Yamadori) Cristian Saitta (lo zio Bonzo) Silvia Verzier/Anna Katarzyna Ir (Kate Pinkerton) Giovanni Palumbo (il Commissario imperiale) Giuliano Pelizon (ufficiale del registro) e Annalisa Esposito (mimo). Si replica fino al 9 ottobre.
La tragedia giapponese pucciniana è praticamente da sempre nella ‘top ten’ delle opere più rappresentate al mondo, nonostante il debutto avvenuto alla Scala il 17 febbraio 1904 fosse incappato in un clamoroso e leggendario fiasco, con il pubblico a fare cagnara e coprire i pochi applausi con grida rumori e sberleffi. Dopo il tonfo Puccini accettò comunque il giudizio negativo e provvide a rivisitare la partitura apportando diversi cambiamenti necessari a restituire il concetto del pensiero giapponese e quindi di una cultura che viaggia su tempi diversi da quelli occidentali. «Per restituire tutta questa atmosfera – spiega il maestro Ciampa – Puccini aveva bisogno di evidenziare la lentezza di quel tipo di vita. Ma la cosa più affascinante dell’opera è che lui non è mai stato in Giappone, aveva visto soltanto delle illustrazioni, ascoltato qualche carillon, e da questi pochissimi elementi, attraverso l’uso sapiente di armonie e melodie, ha ricostruito un’atmosfera puramente giapponese.
Altra novità fino ad allora mai sperimentata da nessuno è il coro a bocca chiusa accompagnato dalla viola d’amore, che avvolge in un magico abbraccio il sogno di Cio-cio-san e del suo bimbo addormentato, a testimoniare una volta di più la genialità di Puccini. Sa enfatizzare la parola attraverso il suono ed è capace di creare una sinestesia versi-musica che porta l’ascoltatore a sentire profumi attraverso le note e percepire sensazioni quasi tattili».
Maestro Ciampa, da come ne parla si capisce che ama molto quest’opera…
«Infatti è così. E poi è una delle opere che ho studiato maggiormente sia a tavolino sia durante tutte le varie produzioni che ho fatto. È come andare a scavare in una miniera e trovare continuamente diamanti, per la sapienza dell’orchestrazione e perché la genialità di quest’uomo, capace di creare atmosfere magiche anche solo con un triangolo o con un pizzicato in un certo accordo, è quella di nascondere nelle varie melodie che ascoltiamo degli elementi, degli incipit, delle piccolissime cellule che poi vengono ripresentate ed enfatizzate in altri momenti, giocando sul subconscio dell’ascoltatore».
Secondo il suo personale sentire, quale elemento strutturale la rende unica e in quale momento si sente particolarmente coinvolto?
«Trovo che la peculiarità tecnica di Butterfly più inaspettata sia quella di iniziare una tragedia giapponese con la fuga, che musicalmente è la forma più occidentale che esista e anche la forma più chiusa. Una chiusura che Puccini ha scelto per rappresentare la casa di Cio-cio-san, che non cambia mai per tutta la durata dell’opera ed è il paradigma di tutta la sua vicenda».
Che cosa significa?
«All’inizio la casa è l’emblema della sua libertà, poi diventa la sua prigione ed infine il suo luogo di morte perché da lì non può più fuggire. Il rapporto eros-thanatos che infonde tensione a tutto il filo narrativo si riassume musicalmente nell’accordo violento, strano e tagliente, che suggella il sacrificio estremo di Cio-cio-san a conclusione dell’opera e rimanda, nel contempo, allo stesso accordo che esalta il duetto d’amore nel finale atto primo. Così si va a ritroso nei concetti primordiali del teatro greco da cui tutto ha avuto inizio. Del resto, lo diceva anche Verdi di tornare all’antico che sarà un progresso. Mentre il momento che mi coinvolge di più e in cui confesso di avere estrema difficoltà a non cedere alla commozione è l’ultima aria di Cio-cio-san, che mi ricorda tanto mia mamma venuta a mancare un anno fa».
Nella costruzione del personaggio quali suggerimenti ha dato alla protagonista?
«Durante le prove sono sempre presente perché la parte va costruita insieme. Nella prima lettura musicale ascolto la sua idea, che non posso snaturare perché appartiene a una persona che ha un suo vissuto. Poi cerco di attuare un equilibrio con la mia idea di Butterfly, evidenziando alcuni passaggi o alcune frasi che per me sono chiave. E cerco anche di conservare, in taluni momenti, la tradizione interpretativa seppure dandone un senso e un significato consapevoli. Lo scopo è quello di provocare emozioni da condividere con il pubblico che è l’ultimo anello della catena creativa, senza il pubblico la rappresentazione è incompleta e perde di significato».
E dopo Butterfly cosa l’aspetta?
«Fortunatamente l’agenda è piena per i prossimi due anni ma, nell’immediato, Trovatore a Monaco, Butterfly a Firenze e Simon Boccanegra con Domingo».
