PORDENONE. La ristorazione pordenonese, insieme a tutta la comunità cittadina, è in lutto per la morte di Ilario Sartor, 71 anni, titolare, da quasi 40 anni, de La Vecia Osteria del Moro, locale storico di via del Castello, all’ombra del campanile di San Marco.
Da tempo malato, Ilario ha lottato fino a quando ha potuto prima di arrendersi all’avverso destino.
Sbarcato a Pordenone nel 1976, ha gestito prima il Bar Pn e, dal 1982, appunto, insieme alla moglie Solidea e poi al figlio Claudio, la Vecia Osteria del Moro.
Il locale è divenuto negli anni un punto di riferimento per la città e tutti i pordenonesi.
Gestito dalla famiglia Moro (da cui deriva il nome) fino al terremoto del 1976, l’osteria è situata in un palazzo originariamente costruito nel 1300.
Il locale è diviso in tre sale, con la prima adibita a bar e punto di accoglienza, la seconda dedicata a Napoleone (ricca di stampe originali che ne descrivono le gesta) e la terza, più raccolta e suggestiva con i suoi archi a volta, in cui prevalgono le stampe dedicate al Risorgimento. Per finire la sala Garibaldi capace di ospitare oltre una dozzina di posti.
Sempre disposto ad accogliere i clienti a qualunque ora (storiche erano le cene della giunta Cardin, che si consumavano sempre sul tardi, dopo le sedute-fiume del consiglio comunale, con ciascun gruppo politico che occupava rigorosamente una sala diversa) Ilario ha lavorato fino all’ultimo, insieme alla gente della sua città.
Rinomate la pasta e fagioli, le trippe, gli “sciosi”, il “musèt” e la “pitina”, il tutto accompagnato dai vini selezionati dallo stesso Ilario, che si concedeva qualche pausa solo quando si dedica alle sue passioni per le auto d’epoca e le Vespe.
In quasi 40 anni di attività al “Moro” di storie potrebbero essercene tante da raccontare, ma Ilario Sartor le sue le aveva raccolte in vecchio quaderno marrone, ben rilegato e con le pagine un po’ ingiallite.
Dentro, sono raccolte le testimonianze dei clienti “speciali” che in via del Castello sono passati, da Margherita Hack a Marta Marzotto che definisce Ilario «grande e fantastico», fino a Juri Gagarin, Walter Chiari, Ottavia Piccolo, Lina Wertmüller e a un «arrivederci, a presto» di Mario Monicelli.
Ma c’è anche la storia dei due ex galeotti appena usciti dal Castello che, consumate diverse bottiglie di vino e tutte le portate previste dal menù, al momento di pagare dichiaravano serenamente: «Guarda, siamo appena usciti dal carcere e non abbiamo niente. Ma alla prima rapina che facciamo, torniamo e ti paghiamo il doppio...».
O quella dello sceicco che, a metà degli anni’90, aveva mangiato solo qualche boccone di affettato, ma si era affezionato al Brunello di Montalcino di Ilario. Dopo averne consumate alcune bottiglie, ne aveva portate via altrettante per godersele a Lignano.
«Per pagare – raccontava Ilario – tirò fuori una carta di credito tutta ricoperta di diamanti». —
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