Maria Vittoria Scaglioni
Abbiamo tutti una fame. Quella di Rachele Barbieri è fame di adrenalina e risultati; solo reagendo all’urto delle sconfitte e sacrificando una parte della propria vita è però possibile raggiungerle. Le abbiamo chiesto come si fa, a lei che era una bambina quando ha iniziato a pedalare in una piccola squadra dell’Appennino modenese. E da allora non si è più fermata, ha corso dritta fino alla meta di ogni sportivo: le Olimpiadi. Ma come si diventa un campione? Ecco il libretto delle istruzioni che ci ha dato lei.
Sei stata convocata alle Olimpiadi. Come stai?
«In questo momento sono in Belgio, sto gareggiando in una corsa a tappe con la nazionale, quindi non ho molto tempo per pensare. Ovviamente sono contentissima di questa convocazione, ho lavorato duramente e fatto così tanti sacrifici… I risultati però sono arrivati, sono migliorata molto. Non vedo l’ora di essere là a correre».
Come saranno queste Olimpiadi senza pubblico?
«Chi è della città potrà partecipare e io spero di vedere tanto pubblico “di casa”, anche se mi dispiace non avere le persone più care vicino. Ormai siamo abituate a correre senza pubblico nelle gare su pista, ma finalmente settimana scorsa, a Fiorenzuola, essendo all’aperto, era consentita la partecipazione. Qualcosa si sta muovendo».
Come ti sei allenata?
«Alle Olimpiadi le specialità su pista sono tre: quartetto, che si corre in quattro-cinque, gara a coppie detta “madison” o americana e gara individuale, l’omnium. Ora sono un’atleta completa, posso correrle tutte, ma per farlo ho dovuto lavorare sulla resistenza. Il mio preparatore è stato fondamentale, ci siamo esercitate con tanti ritiri in altura sia individualmente che con la nazionale».
Cosa significa rappresentare l’Italia nella massima manifestazione sportiva mondiale?
«E’ sempre un grandissimo onore vestire la maglia azzurra, il massimo a cui puoi ambire. C’è anche ansia perché questo è un posto che hai tolto a un’altra persona, è una responsabilità; ma l’ansia viene bilanciata dal fatto che sai che se sei qui è perché vali. Quando attacco il numero per correre do sempre il cento per cento e punto al massimo risultato, ma con la maglia dell’Italia do anche quel qualcosa in più. Quando non arrivano le gambe spingi con tutta te stessa».
Come ti carichi per una gara?
«Mi piace sentire la mia mental coach nelle ore prima della gara. Non è solo uno sfogo; tendiamo a darci troppe colpe, quindi è utile avere una persona esterna che ci riporti alla realtà. Per il resto sono scaramantica ma senza riti particolari. Spesso non c’è nemmeno il tempo».
Come vivi la competizione?
«Bene, nel senso che sono sempre stata competitiva, fin da piccola, anche al di fuori della bici; allora mi battevo con i maschi a calcio piuttosto che a pallavolo, ma la sostanza non è cambiata».
Qual è la tua vita al di là del ciclismo?
«Studio scienze giuridiche a Modena, sto riuscendo a rimanere in pari con gli esami, cosa che per me è già una grandissima soddisfazione. Inoltre ho una bellissima compagnia di amici, anche se ultimamente sono sempre in giro per il mondo ed è tanto che non li vedo. Mi salvano i social e le videochiamate, però».
E durante l’adolescenza come è stato?
«A volte è dura: a scuola magari andavo via per un allenamento o una gara e quando dovevo chiedere i compiti qualcuno mi guardava un pò male; ma fortunatamente si cresce, e infatti qualche tempo fa mi ha scritto una ex compagna di classe che a volte se la prendeva con me proprio per questo motivo. Si è scusata perché col tempo ha capito quanto contasse per me lo sport e mi ha detto “avevi ragione tu, guarda dove sei arrivata”».
Come hai scelto il ciclismo?
«Mia sorella correva in bici nella A.C. Serramazzoni e l’allenatore, Benito Mantovi, mi ha chiesto se volessi provare. Visto che la copiavo in tutto e per tutto in quanto sorella maggiore, ho fatto lo stesso in questo caso, ma lei dopo poco ha smesso. Io ho continuato».
Qualcuno ti è stato di ispirazione nel tuo percorso?
«Il mio primo allenatore, Mantovi, che è tuttora il direttore sportivo della A.C. Serramazzoni per cui corro ancora oggi, è stata la persona grazie alla quale ho intrapreso questa strada. Passava casa per casa a prendere i ragazzi con un pulmino, poi ci avventuravamo per le stradine del territorio; infine ci riportava anche, così i genitori non avevano problemi con il lavoro. A fine allenamento ci offriva sempre il gelato, un grande!».
Cosa ti ha insegnato il ciclismo?
«Qualsiasi sport è una scuola di vita. Anni fa mi dicevano che ero più matura dei miei coetanei ed era perché sono effettivamente cresciuta più in fretta. Ho imparato ad organizzarmi e a gestire responsabilità sia nei miei confronti che in quelli degli altri. So che posso cambiare tanto e mi sono abituata a prendere decisioni importanti: delusioni e sconfitte ma anche vittorie è un misto che forgia il carattere».
Prossimi obiettivi?
«Una medaglia alle Olimpiadi». —
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