di Alessandro Nardi
La nostra storia in Argentina si conclude il 15 luglio 2010 con l’approvazione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso, anche se questa non è la parte più interessante. La vera conquista sociale è stata un’altra. L’indignazione popolare per il modo pressante e “terroristico” con cui la Chiesa ha spinto per mesi affinché tale vittoria della società civile fosse impedita. Il merito di questa legge va dato, principalmente, alla massima autorità della Chiesa Cattolica nel Paese.
La campagna per affossare questa scelta fu talmente scabrosa e pressante da far nascere un movimento d’opinione così forte da obbligare i rappresentanti parlamentari a dare il via libera al provvedimento. Una grande fetta di popolazione, fin prima inerte, si è polarizzata per difendere lo Stato dalle ingerenze esterne. Si poteva sentire chiaramente che la lotta non era più tra favorevoli e contrari alle unioni omosessuali, ma tra chi riteneva che la sovranità dello Stato non potesse essere intaccata da forze religiose. Gli attori in campo non furono così diversi oggi, anzi, molto simili se non coincidenti.
Stiamo parlando dell’Argentina, un paese che spesso assomiglia al nostro (anche se ora, nei diritti civili, quelli più arretrati siamo noi) e la controparte delle istituzioni cattoliche capeggiate dall’allora massimo esponente il Cardinal Bergoglio, ora a capo della Santa Sede. Perché ho voluto raccontare questa storia? Semplicemente perché non voglio confrontare la destra italiana alle destre europee, sarebbe un impietoso sforzo intellettuale. Il nostro paese vive un unicum istituzionale non paragonabile con il resto del mondo occidentale. Leggere questa classe politica con i canoni del pensiero conservatore anglosassone o francese sarebbe un’inutile perdita di tempo. La nostra specificità ha sempre portato la destra italiana, nel secondo dopoguerra, ad essere più nostalgica dei sistemi autoritari anziché libertari.
Allo stesso modo può essere vista l’intera società italiana poiché, se è vero che la nostra è una destra “anomala”, non possiamo certo dire che la sinistra sia migliore se paragonata al resto dei partiti progressisti europei. Ho cercato quindi di volare più basso e mi sono limitato a raccontare una storia più alla portata del nostro paese, della nostra classe dirigente e della nostra società; questo perché non possiamo sempre incolpare l’establishment anche quando le lacune vengono dalla società civile.
Le vere domande da porsi oggi, per quanto riguarda il parallelo con il ddl Zan sono: “Dov’è lo spirito che ha portato alla creazione dello Stato italiano?” “Dov’è la classe dirigente che ha teorizzato la separazione del potere temporale da quello spirituale?” “Dov’è il popolo che ritiene e vuole essere sovrano?”
I politici, come tutti sappiamo, sono troppo inclini ad assecondare il consenso, perciò, anziché usare questo come scusa per nasconderci dalle responsabilità, usiamolo come arma per obbligare i nostri rappresentanti ad approvare il provvedimento. Facciamo pressione sui deputati e senatori territoriali affinché capiscano che questa non è una scelta di destra o di sinistra, ma di “civiltà”. Obblighiamoli a prendere una posizione chiara che ci dia il modo di valutare il loro spessore morale in vista delle prossime elezioni politiche.
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