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L'Italia rischia di perdere le sue basi negli Emirati (e la faccia)

La vicenda Alitalia-Ethiad, il drone Piaggio, lo stop alla vendita di armi, la scadenza degli accordi bilaterali mai rinnovati, le armi al Qatar e il prossimo impegno in Iraq. Dietro la chiusura dello spazio aereo degli Emirati al nostro volo per Herat c'è una crisi complessa provocata da una politica estera scostante.


Il divieto di sorvolo che il 9 giugno gli Emirati Arabi hanno imposto al nostro aeroplano militare diretto in Afghanistan con a bordo i giornalisti diretti a Herat per la cerimonia dell'ammaina bandiera è il risultato di una crescente serie di episodi che hanno progressivamente peggiorato i rapporti con il nostro Paese e che hanno radici negli ultimi quattro governi.

Il volo dell'Aeronautica, operato con un Kc-767, per ragioni di autonomia è stato costretto ad atterrare in Arabia Saudita dove i passeggeri hanno poi continuato il viaggio su un C-130J arrivato apposta che li ha portati fino a destinazione, dove nel frattempo erano arrivati il ministro Guerini e i nostri vertici militari a bordo di un volo di Stato. Nessuna emergenza o pericolo, ma una grande scocciatura e oltre sette ore di ritardo.

Tuttavia per comprendere la situazione bisogna tornare al dicembre scorso e al governo Conte 2 che su proposta di Pd e M5s aveva bloccato l'esportazione di armamenti agli Emirati perché, insieme con l'Arabia Saudita, sono impegnati nel conflitto in Yemen. Ciò che non è stato valutato sono i motivi per i quali le commesse erano state approvate qualche anno prima, ovvero la prospettiva di nuovi ordini ben più importanti di quelli in corso per la nostra industria della Difesa. Così gli emiratini oggi rendono difficile la vita a tutto ciò che è tricolore, finanche a chi, in modo stabile, abita e lavora da quelle parti. Il prossimo atto potrebbe essere lo sfratto dei nostri militari dalla base di Al Minhad, dove dal 2002 l'Italia usa le strutture esistenti e pagate da nostri soldi come scalo tecnico per i voli con destinazione Iraq e Afghanistan, con tanto di struttura logistica per il nostro personale. Se la perderemo ci toccherà allungare le rotte e chiedere ad altri lo stesso favore, a prescindere dal fatto che abbiamo lasciato la base di Herat, che raggiungevamo con più facilità partendo dagli Uae. Questo perché dal prossimo dicembre, rientrati gli americani, avremo la responsabilità delle operazioni in Iraq e senza la possibilità di fare scalo ad Al Minhad le operazioni ci costeranno molti più soldi.

Le ragioni del comportamento emiratino però non sono soltanto motivate dallo stop alle armi, ma perché questa decisione è stata festeggiata come una grande conquista snobbando le possibili ritorsioni che vanno a toccare la cantieristica, i beni di lusso e gli interessi italiani in Uae. Ormai è evidente che taluni nostri parlamentari agiscono in senso pacifista senza pensare che per il Paese una tale decisione possa comunque avere un prezzo molto elevato a partire dalla credibilità. Se poi pensiamo che la decisione del tutto politica ha comportato anche la sospensione temporanea della fornitura di pezzi di ricambio per la pattuglia acrobatica Al Fursan, che vola senza armi e usa gli stessi aeroplani delle Frecce Tricolori (gli MB-339), con piloti che abbiamo addestrato noi e che in futuro sarebbero certamente stati interessati a cambiare i velivoli con i più moderni Leonardo M-345, possiamo dire di aver fatto un autogol clamoroso, anche perché i militari arabi ora si rivolgeranno a partner occidentali ritenuti più affidabili come gli americani e i francesi.

Mentre si prendeva la decisione di stoppare le forniture di armamenti ci siamo dimenticati dei pasticci fatti da quelle parti con l'accordo Alitalia-Etihad e di quelli di Piaggio Aerospace per la costruzione del drone P1HH rimasto prototipo (e oggi un progetto semi abbandonato dentro un'azienda in liquidazione), ma anche che da qualche mese era scaduto l'accordo bilaterale per la Difesa che esisteva tra i due Paesi e che prevedeva precise condizioni giuridiche per il nostro personale. Abbiamo anche fatto finta di non sapere che la posizione emiratina sulle vicende libiche è completamente opposta alla nostra e come non bastasse, mentre chiudevamo il rubinetto delle armi in uscita e vedevano fermarsi il flusso dei soldi in entrata, stavamo aumentando le commesse militari verso il Qatar, che con i confinanti Emirati non vanta rapporti proprio distesi. Vero che la politica estera cambia spesso, ma noi per far arrabbiare gli emiri ce l'abbiamo proprio messa tutta. Il segretario generale del ministero degli Esteri Ettore Sequi nei giorni scorsi ha convocato alla Farnesina l'ambasciatore emiratino Omar Al Shamsi su richiesta del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, esternando "sorpresa e forte disappunto per un gesto inatteso che si fa fatica a comprendere". Ma c'è poco da discutere e molto da decidere: o allentiamo le limitazioni, oppure dobbiamo accettare che questa crisi diplomatica e commerciale si allarghi. E rimetterci ancora più soldi perdendo un cliente di riguardo.

Nella vicenda dello Yemen le autorità degli Uae non vogliono sentirsi giudicare come aggressori. Anzi, due settimane prima della decisione italiana di fermare la vendita di armi, lo sceicco di Dubai Mohamed al Maktoum aveva annunciato la volontà di uscire dalla crisi, così come l'emiro Mohamed Bin Zayed, regnante di Abu Dhabi. Entrambi però sono nella posizione di poter comprare armamenti altrove fino a quando non chiederemo scusa e provvederemo a ripristinare gli scambi commerciali del settore Difesa. Ma c'è da scommettere che allora i prezzi saranno rinegoziati e non certo a nostro favore. Ancora una volta dobbiamo sperare che Mario Draghi metta un'altra pezza ai guai fatti della compagine giallo-rossa.

​Che cos'è la base di Al Minhad


La base aerea militare di Al Minhad appartiene alla Emirates Air Force & Air Defence e si trova a circa 30 km a sud di Dubai in direzione di Al Ain. Attualmente è la sede di alcune task-force occidentali che supportano le operazioni in tutto il Medioriente. Alcuni paesi stranieri alleati degli Emirati Arabi Uniti hanno fatto uso della base aerea di Al Minhad fin dal 2000 per supportare la catena di approvvigionamento logistica per le operazioni militari in Afghanistan. L'utilizzo della base da parte di governi stranieri è concesso dagli Uae mediante accordi bilaterali, che impongono tra l'altro un accordo diplomatico in base al quale le forze armate dei governi stranieri non rendono nota la nazione ospitante né la posizione delle loro operazioni negli Emirati Arabi. Attualmente sulla base di Al Minhad sono presenti diversi compound di forze Nato e occidentali impegnate nelle operazioni in Iraq, Afghanistan e zone circostanti. Per primi ci sono gli Usa che hanno una delle principali basi logistiche dell'US Army nell'area mediorientale. Inoltre è presente Camp Baird dell'Australian Defence Force che è principale hub di trasporto e logistica in Medioriente delle forze di combattimento australiane oltre ad essere il quartier generale della RAAF (l'aviazione australiana) nella regione. Sono stabilmente presenti aerei da trasporto C-130J e C-17, oltre a velivoli da trasporto civile di compagnie charter che forniscono i collegamenti e la turnazione del personale australiano. Le forze armate britanniche operano da Minhad dal 2013 con la 906° Expeditionary Air Wing della RAF. Anche in questo caso si tratta di un hub logistico di supporto alle operazioni nel teatro mediorientale e afgano. Sono presenti, all'interno degli schieramenti australiani e inglese, i contingenti olandesi e della Nuova Zelanda, che supportano le operazioni dei loro contingenti in Iraq. L'Aeronautica Militare Italiana ha operato dal 2001 e fino a giugno del 2015 presso la base aerea di Al Bateen, all'interno dell'area metropolitana di Abu Dhabi, e in seguito alla smilitarizzazione di Al Bateen ha trasferito il suo polo logistico dal luglio 2015 a Minhad. Al comando c'è un Colonnello con poco meno di 80 militari che gestiscono la base con una rotazione trimestrale. Il principale utilizzo è logistico e da Minhad viene dato supporto alle operazioni in Afghanistan, Iraq, Gibuti e fino a poco tempo fa anche in Somalia. Sono stabilmente basati due C-130J della 46° Aerobrigata per il collegamento con i teatri di operazioni, mentre il personale adesso arriva con velivoli civili charter da Pisa o da Pratica di Mare. Viene utilizzata anche come terminal per i trasporti Vip nazionali con B-767, Falcon e Airbus della Presidenza del Consiglio. Con il previsto ritiro delle forze militari della Nato dall'Afghanistan, Al Minhad assume un'importanza fondamentale come base logistica per la gestione delle operazioni per tutte le nazioni impegnate in quel teatro. Sulla base sono presenti inoltre dei reparti operativi dell'Afad e la pattuglia acrobatica emiratina di MB-339, gli Al Fursan. Al momento non si parla di chiusura del compound italiano, ma c'è una certa tendenza ad amplificare la vicenda per dimostrare al nostro Paese che gli Emirati non gradiscono assolutamente la politica attuale della Farnesina. Questa presa di posizione del Governo italiano ha inoltre bloccato alcune trattative importanti con Leonardo per la sostituzione degli MB 339, l'adesione al progetto IFS (la scuola militare recentemente nata in Sardegna) e si dice, anche con Fincantieri, per la possibile fornitura di due navi per la seppure esigua flotta navale.

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