Il linguaggio della finanza è consapevolmente difficile e diventa incomprensibile quando si traduce in “banchese”, il linguaggio dei bancari e dei banchieri o, ancora peggio, in operazione di vetrina per i professori da tastiera, tra cui anche i consulenti finanziari che, influenzati da un leggero (!!!) conflitto di interessi, cercano di confondere le prede.
L’obiettivo che mi pongo ogni volta che scrivo di questi argomenti è la comprensione anche da parte di mia figlia Alessandra di 18 anni. È chiaro per Alessandra? Lo ha capito Alessandra? Su queste basi ritorno su un tema già analizzato la settimana scorsa e che riguarda la resistenza attiva manifestata da banche e reti di fronte alla decisione dei risparmiatori di tenere le loro disponibilità “liquide” sui conti correnti e sui depositi a risparmio.
La “resistenza attiva” si manifesta in due modi. Il primo atto di opposizione, molto più diretto e trasparente, si rivela, come ha fatto Fineco, sotto forma di “inviti” a tutti i correntisti inattivi (privi cioè di contratti di finanziamento o investimento) con oltre 100.000 euro sul conto, ad effettuare operazioni di investimento su prodotti diversi dai conti correnti. Ma se entro due mesi dalla comunicazione il cliente decide di non voler investire in prodotti finanziari, allora Fineco – ne ha diritto – rescinde il contratto.
Il secondo, molto più subdolo e fantasioso, riguarda invece l’applicazione sui conti correnti di una “commissione di giacenza” in luogo dei tassi negativi che, in Italia, sarebbe resa inefficace dal Codice Civile, che nel “Capo XVI – Del conto corrente” all’art. 1825 prevede che “…sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale”. In pratica si stabilisce che ciascun deposito costituisce un credito idoneo a produrre interessi che si suppongono non negativi.
Ebbene, di fronte a questo scenario i consulenti finanziari camuffati da filantropi sostengono una tesi molto affascinante. Piuttosto che definire il ruolo (ma vuoi essere un risparmiatore o un investitore?), ritengono, appunto, di convincere i risparmiatori con la favola della spinta inflattiva post pandemica, che potrebbe erodere il valore delle disponibilità liquide.
Semplifichiamo il loro ragionamento: se oggi a Milano con 50 euro mangi due pizze al ristorante, domani, continuando a tenere quei 50 euro sul conto, dovrai andare a cena da solo. Meglio quindi investirli in “qualcosa” che ti permetta di conservare il valore delle due pizze. Ragionamento che non farebbe una piega, se non fosse che i consulenti benefattori dimentichino di far vedere tutto il film fermandosi solo all’ultima scena.
Innanzitutto si tratta di una liquidità prodottasi per effetto della riduzione delle spese durante il lockdown e che sconta l’incertezza del momento per una visione di più lungo termine. Come farò a pagare domani le tasse congelate? Come pagherò tra tre mesi le rate del mutuo che ha beneficiato della moratoria?
Inoltre ricordiamo che oggi in Italia l’inflazione oscilla tra il 1,2% e il 1,3% come variazione annuale e per il 2022 è prevista una crescita nell’Ue dell’1,5%. Ora volete sapere quante e quali commissioni paga un risparmiatore che dovrebbe investire in prodotti del risparmio gestito (fondi, polizze, ecc), quelli prevalentemente offerti in alternativa al risparmio inattivo, e di cui non ha la piena consapevolezza visto che molti costi sono addebitati direttamente sul valore della quota del fondo? Ho verificato un po’ di prospetti informativi di questi prodotti finanziari e ho trovato:
– Commissioni di sottoscrizione;
– Commissioni di gestione;
– Commissioni a tunnel di uscita;
– Commissioni di performance;
– Commissioni di copertura;
– Commissioni di negoziazione;
– Commissioni di switch;
– Spese di revisione: le spese dovute alla società che rivede il bilancio annuale dei fondi;
– Spese di pubblicazione del valore della quota, in quanto la legge prevede che la quota venga pubblicata su un giornale con ampia diffusione;
– Compenso per la banca depositaria: costi collegati al deposito dei titoli presso una banca;
– Spese legali e giudiziarie: tutte le spese collegate all’istituzione o modifiche legali legate al fondo;
– Commissioni di distribuzione: commissioni pagate al distributore del fondo;
– Costi di liquidità (cash drag).
Vi assicuro che sarebbe meglio andare in Afghanistan dove l’inflazione è solo al +5%!!
L'articolo Cari consulenti finanziari, basta con la favola dell’inflazione per non far tenere i soldi sui conti correnti! proviene da Il Fatto Quotidiano.