L’Unione europea sembra aver segnato un punto importante nel braccio di ferro con Budapest sul rispetto dello stato di diritto: il parlamento ungherese ha ufficialmente abolito la legge del 2017 voluta dal premier Viktor Orban contro i presunti finanziamenti dall’estero alle ong. Lo scorso giungo la Corte di giustizia Ue l’aveva bocciata perché considerata una «restrizione discriminatoria e ingiustificata», oggi il premier ultranazionalista è stato costretto a un passo indietro, seppure a malincuore, in un quadro che definisce il frutto dell’«imperialismo liberare» dell’Occidente. La legge in questione fa parte del cosiddetto pacchetto «anti-Soros» che ha aperto un durissimo fronte di scontro con l’Unione europea. Nella fattispecie la legge in questione imponeva alle ong attive sul territorio ungherese – soprattutto quelle impegnate per i diritti umani e i migranti – di denunciare e rendere pubblici dati personali dei loro donatori stranieri se le loro donazioni annuali individuali superavano i 500.000 fiorini (1.380 euro). Il governo del premier Viktor Orban aveva spiegato che l'obiettivo era avere maggiore trasparenza ed evitare che «le ong tentassero di esercitare pressione politica sul governo con il sostegno di potenze straniere». In molti, però, avevano sostenuto che servisse solo a reprimere ulteriormente il dissenso dei critici del governo e, ad esempio, della sua politica migratoria, e a esercitare un ulteriore controllo sulle attività di organizzazioni come Amnesty International, Greenpeace e il Comitato di Helsinki per i diritti umani. Le ong dovevano inoltre dichiarare di essere organizzazioni finanziate dall'estero sui loro siti web e in tutti i loro materiali di stampa.
Questa è la terza volta in meno di un anno che le leggi ungheresi sono state giudicate contrarie al diritto europeo. Lo scorso maggio sempre la Corte di Giustizia aveva condannato la politica migratoria di Orban, un mese dopo era stata la volta della legge anti-ong, a ottobre era stata «condannata» quella sull’università, scritta con lo scopo – raggiunto – di cacciare da Budapest la Central European University, fondata proprio dal milionario statunitense di origine ungherese George Soros, che è stata costretta a spostare le sue attività da Budapest a Vienna. per farlo Orban aveva fatto approvare una legislazione che obbliga tutte le università straniere attive in Ungheria ad avere una «reale attività» nei rispettivi Paesi d’origine. Solo la Ceu non aveva potuto presentare queste credenziali.
Ora qualcosa sembrerebbe cambiato e per la prima volta l’azione della Corte Ue ha costretto Orban a rallentare il passo. Rallentare il passo, non invertire la direzione: nessuno in Ungheria si illude che il premier abbia rinunciato al suo «piano di controllo»: la Corte dei Conti ungherese, guidata da un ex politico di Fidesz, il partito di Orban, sarà infatti incaricata di riferire al governo sull’attività e i fondi di tutte le organizzazioni in cui i bilanci superano i 50 mila euro l’anno, ad eccezione di quelle nazionali, sportive e religiose.