PORDENONE. Sospendere la pensione ai medici che prestano servizio come vaccinatori. Una «sorpresa amara», come la definisce il presidente della Federazione regionale dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri, il pordenonese Guido Lucchini, che rischia di far desistere i professionisti che si erano resi disponibili alle vaccinazioni: un centinaio, secondo le stime della federazione. «È assurdo che a un professionista in quiescenza, che sceglie di lavorare mettendo a rischio la propria salute, non venga riconosciuto il corrispettivo economico derivante da questa attività» spiega Lucchini.
Presidente, come si è creata questa situazione e cosa comporta?
«Stiamo parlando del contenuto dell’articolo 3-bis del decreto legge 2/2021. La problematica è ormai un caso nazionale e diversi medici già disponibili alle vaccinazioni anti-Covid non vorranno invischiarsi in problematiche di tipo burocratico-fiscale che possano mettere in discussione la regolarità del trattamento di quiescenza. Così i colleghi, mossi da principi di solidarietà nei confronti degli assistiti e di partecipazione attiva al sistema sanitario pubblico in difficoltà, vedono vanificare il loro proposito. Noi chiediamo un punto di incontro perché il tema è complesso e tocca le cosiddette agenzie interinali e le cooperative di medici».
Quanti sono i medici pensionati che hanno dato la loro disponibilità in Friuli Venezia Giulia e come vengono impiegati?
«Al momento i medici pensionati disposti a vaccinare sono un centinaio: alcuni hanno scelto di farlo in modo volontario. Vengono impegnati prevalentemente nei siti vaccinali organizzati, come le fiere o le palestre. Il loro compito è delicato: devo raccogliere l’anamnesi della persona che hanno davanti».
E in questo modo integrano il personale della aziende sanitarie.
«L’accordo integrativo regionale va proprio in questo senso. Se in Italia ogni medico di famiglia facesse cinque vaccinazioni al giorno, potremmo vaccinare 210-220 mila italiani al giorno: in Friuli Venezia Giulia abbiamo molti professionisti impiegati sia in studio che a domicilio. I medici in pensione, invece, non sono rigidamente regolamentati in orari di lavoro, hanno una certa flessibilità. Le agenzie interinali li hanno assunti con contratti di 38 o 19 ore a settimana ma questo decreto ha fatto arrestare la voglia di collaborare».
In questi mesi per arrivare a prendere delle decisioni ci sono volute, in alcuni casi, lunghe trattative. Poteva essere gestito diversamente, da una parte e dall’altra?
«Con il senno di poi è facile rispondere ma ricordiamoci che siamo in una situazione di pandemia. La politica è chiamata a fare scelte puntuali, veloci, pertinenti alla situazione».
Dal suo osservatorio, il sistema sanitario regionale ha retto alla pandemia?
«Da presidente di un ordine e dell’intera federazione – insieme ai colleghi Roberta Chersevani per Gorizia, Cosimo Quaranta per Trieste e Gianluigi Tiberio per Udine – posso dire che c’è stato un continuo confronto con la politica, con i tecnici, con gli ordini professionali e con gli organismi sindacali. Insieme, siamo stati più volte chiamati a sviluppare e decidere le prassi più idonee per affrontare la pandemia».
In un contesto di collaborazione così forte, la situazione del medici pensionati sembra stridere.
«È così: siamo vicini ai colleghi che hanno dato la loro disponibilità e si vedono defraudati. Non resteremo a guardare, chiederemo al Parlamento di rivedere la norma: a garanzia dei diritti maturati dai medici dipendenti da un lato e mantenendo la disponibilità già data dai medici che sono stati “richiamati” in attività».