La prima mostra dedicata a celebrare i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, che mai come ora ci appare necessario quanto l'aria che respiriamo, sarà inaugurata il 15 aprile nel palazzo al Velabro della Fondazione Alda Fendi-Esperimenti (ingresso gratuito con prenotazione, fino al 15 luglio: info@rhinocerosgallery.com).
A immaginarlo rockettaro, abbagliante e radioattivo è il visionario regista Raffaele Curi nell'installazione multimediale dal titolo: Dante. In a private dream of Raffaele Curi. Per la prima volta il direttore artistico della Fondazione sarà affiancato dall'Accademia della Crusca, che ogni giorno proietterà una parola diversa, spiegandone il significato.
Questo sogno privato, dove amore e morte si intrecciano indissolubilmente, inizia con una rappresentazione onirica, inquietante, apocalittica dell'Inferno: «Mi sono ispirato al Canto XIII, ambientato nel secondo girone del settimo cerchio, dove sono punite le anime dei violenti contro se stessi, i suicidi come Pier della Vigna, uno dei più grandi letterati della Scuola siciliana alla corte di Federico II. E dopo aver attraversato il dolore, i visitatori ascenderanno ai piani superiori, per arrivare al Paradiso attraverso il sublime ultimo Canto, il XXXIII», spiega. Il viaggio iniziatico comincia in un bosco tetro, buio, terrificante. Una foresta pietrificata, spaventosa come quella di Birnam per Macbeth, una selva elettronica in cui perdersi e ritrovarsi immersi in una natura animata solo dalla presenza di monitor, che scendono dal soffitto ad altezze diverse, diffondendo una luce fioca e spettrale, mentre proiettano il video dei Kraftwerk, Radioactivity. Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: «Mi sono ispirato alle città radioattive da Chernobyl a Sellafield, da Mayak a Harrisburg fino a Hiroshima e Fukushima». Eccoci dunque nell'Inferno: «Curi vede il Canto XIII come un luogo non solo inameno, ma invivibile per colpa degli uomini che lo abitano e lo hanno ridotto come lo vediamo: uno scenario di distruzione, come i luoghi inariditi dagli attacchi nucleari. L'uomo è stato in grado di crearsi il suo inferno» scrive Vittorio Sgarbi nel testo critico. E ancora, carni ammassate nel fango e corpi nudi che volano liberi verso un cielo azzurro, i sommersi e i salvati. Le spettacolari foto di Claudia Rogge trovano spazio nella Galleria Rhinoceros per la mostra EverAfter curata da Alessia Fendi: «Apprezzo da sempre la potenza di questa artista tedesca, che ritengo la più vicina all'espressionismo.
I suoi scatti ispirati all'Inferno, Purgatorio, Paradiso sono visti come concetti universali. Dante è per me l'essenza pura della cultura, della nostra lingua. Segue formule geometriche di perfezione assoluta». La domanda che aleggia nelle stanze antiche e modernissime progettate dal celebre architetto Jean Nouvel è: «Quale sarà il nostro destino?». Per Curi il destino ha il colore del lapislazzuli: il blu che risplende d'oro. Pietra imperiale che rimanda ai fasti dell'Antico Egitto. E così si ascende allo spettacolare secondo piano, dove l'allestimento è abbagliante e insieme lieve: «Entrare in un mondo che ci appartiene, dove siamo attesi. Questo è quello che ho provato la prima volta che da piccolo presi in mano la Divina Commedia», continua il regista. «Essere attesi è una sensazione che ci rende profondamente felici». Una visione intima e rarefatta dove infiniti soli splendenti si riflettono negli specchi, insieme alle miniature di Giovanni di Paolo, il grande maestro senese del Quattrocento. Mentre nell'aria si percepiscono le sonorità ipnotiche del gruppo Denmark+Winter. «Le terzine sono per me come i salmi davidici. Tutta la Commedia è una preghiera». E i Canti del Paradiso ci accompagneranno fino all'ultimo piano, per arrivare infine a: L'amor che move il sole e l'altre stelle. «Perché alla fine della vita, resta una cosa sola: l'amore» conclude il direttore artistico. Unica amorevole avvertenza: per entrare nel Paradiso di Curi portatevi gli occhiali da sole. Vi saranno assolutamente necessari.