MALBORGHETTO-VALBRUNA. La zona dove si è staccata la valanga è un passaggio molto frequentato dagli scialpinisti, italiani ma anche sloveni e austriaci. La gola a nordest dello Jôf Fuart, negli anni, è già stata scenario di incidenti mortali, a dimostrazione di quanto sia complesso attraversarla. «È un tratto impegnativo, sia come pendenza, sia dal punto di vista tecnico – evidenziaStefano Rosenwirth, vice caposquadra del Cnsas di Cave del Predil –. Nonostante la grande esperienza di chi l’attraversa, a volte può riservare delle amare sorprese».
CHE COSA È SUCCESSO.Sciano fuori pista e una valanga li travolge: sono friulane le due vittime, salvo un terzo amico che ha dato l’allarme
Carlo Picotti, Federico Deluisa e Andrea Polo, erano partiti all’alba alla volta dello Jôf Fuart. Due di loro avevano lasciato l’auto a Sella Nevea, luogo della partenza dell’escursione, un terzo in Val Saisera, punto di arrivo. «Sono saliti dal rifugio Corsi e, costeggiando lo Jôf Fuart, hanno deciso di scendere lungo il canalone nordest. Hanno attraversato il fianco prima di imboccare la discesa. A quel punto la valanga si è staccata, non lasciando scampo a due di loro».
Il recupero è stato piuttosto impegnativo, visto il rischio che altre slavine potessero staccarsi. «L’attenzione è stata massima, la situazione non era delle migliori – chiude Rosenwirth – per questo si è scelto di prelevare prima i corpi dei due sciatori in fondo al canale, in un secondo momento il sopravvissuto, evitando così che dal costone potessero staccarsi altre valanghe».
LE TESTIMONIANZE
Tra gli addetti ai lavori, la gola a nordest Jôf Fuart, è nota per la sua pericolosità. La fanno in tanti quando le condizioni meteo sono buone. «Basta guardarla, anche da fondovalle, per accorgersi che non è una sciata su un pendio come gli altri. E a volte possono capitare le fatalità». È uno dei volontari del Soccorso alpino a parlare così della montagna, dove nel 2008 ci ha rimesso la vita Kristian Muser, 33 anni, giovane scialpinista originario di Paluzza, ma residente a Gemona. Era il mese di maggio, e anche lui si trovava in compagnia di altri due amici, testimoni impotenti della tragedia. L’uomo, scendendo lungo il canalone con gli sci, perse l’equilibrio ruzzolando attraverso diversi salti di roccia prima di arrestare la sua corsa, 500 metri più in basso. La morte fu immediata.
La seconda vittima, sempre nel 2008, ma nel mese di agosto, fu Alessandro Trampus di 36 anni, escursionista goriziano. Il giovane scivolò sul ripido nevaio e dopo un salto di circa 8 metri, precipitò, probabilmente già esamine, nel crepaccio sottostante, sbattendo fra le pareti di roccia e di ghiaccio. Anche in questo caso Trampus non era da solo ad affrontare lo Jôf Fuart, ma in compagnia di due amici.
Ieri le condizioni per scendere dalla gola della montagna di Julius Kugy sembravano essere ottimali. Anche se le nevicate degli ultimi giorni avevano reso instabili i costoni per la coltre bianca caduta. Come hanno messo in evidenza i soccorritori, nonostante la prudenza e l’esperienza, in montagna, il rischio zero non esiste.