«Soffriva per i problemi della mamma, ma teneva tutto dentro. Il lockdown ha peggiorato tutto. Abbiate rispetto per la nostra famiglia»
GAZOLO DEGLI IPPOLITI. Gli occhi lucidi, la voce che trema. Ma la volontà fa stringere i pugni e dire a tutti una verità che non può rimanere nascosta.«Luca era una persona dolce, riservata. Si era fatto carico di tutti i pesi di una situazione familiare difficile. Era fragile e nonostante fosse seguito da medici e da noi parenti, il lockdown gli pesava molto. Troppo». Rompono il silenzio i familiari di Luca Zapparoli, 27 anni impiccatosi nella sua casa alle 13 di giovedì dopo aver telefonato al 118 dicendo di avere ucciso la madre Licia Iori, di 59 anni. Che è stata trovata cadavere nell’appartamento che i due condividevano da 25 anni in via Indipendenza a Gazoldo. Una decina d’anni fa, la separazione della coppia dei genitori, seguita da una forte crisi depressiva della madre, che da allora era in cura. Il figlio Luca, dopo avere lavorato per qualche anno, badava alla madre malata. «Era un ragazzo premuroso - racconta Tiziana Iori, la sorella di Licia, che abita a Cerese - . Ci sentivamo spesso. Con mia sorella tutti i giorni. Anche la sera prima. Al telefono mi aveva detto che non stava bene, che aveva un forte mal di testa. Vogliamo capire quello che veramente è successo. Per quanto ne sappiamo potrebbe essere morta d’infarto. Aspettiamo gli esiti degli esami».
La famiglia è unita nel difendere l'immagine di Luca da chi lo ha dipinto come un assassino. «Non è vero che aveva tentato di togliersi la vita altre volte, e nemmeno che sognava di andare negli Stati Uniti - dice di Luca la sorella Sara Zapparoli, 31 anni, che abita a San Biagio -. Era una persona dolcissima e fragile. Lo avevo sentito il giorno prima. E il sabato precedente ero a pranzo da lui e la mamma. Dopo l’episodio di dicembre scorso i rapporti in casa erano cambiati, ma sabato l’avevo visto sorridente, tranquillo. Ero tornata a casa sollevata perché mi dicevo che le cure stavano funzionando».
L’episodio di dicembre è il colpo partito dalla pistola che Luca deteneva legalmente e che aveva scheggiato una piastrella della cucina. La madre era rimasta ferita dalle schegge. Dopo quel fatto a Luca era stato era stato revocato il porto d’armi, quindi ricoverato per due volte al reparto psichiatrico dell’ospedale di Castiglione e poi seguito dalla psichiatria a domicilio.
«Per noi quello sparo era un messaggio disperato di aiuto di Luca - dice la sorella -. Lui sapeva usare le armi e se avesse voluto fare qualcosa di diverso, l’avrebbe fatto. Abbiamo contattato la psichiatria. Luca aveva accettato di farsi seguire, capiva che era per il suo bene. Lo seguivano passo passo. Aveva dei medicinali da prendere. Aveva sofferto molto dei problemi della mamma. Cercava di aiutarla, ma a suo modo. Si teneva tutto dentro».
Il periodo di lockdown acuisce questa situazione. «Gli pesava molto non potere uscire - continua la sorella -. La reclusione forzata lo innervosiva. Ma l’autunno scorso si era iscritto alle scuole serali, voleva diplomarsi».
Un segnale positivo dopo mesi, all’inizio del 2020, passati fra ricoveri e cure. «Il Comune aveva mandato un assistente sociale quando era stato ricoverato la prima volta, perché la mamma era rimasta sola a casa - aggiunge Sara -. Luca aveva provato anche a trasferirsi da me, i medici erano informati, ma non ce la faceva a stare lontano dal suo ambiente ed è ritornato con la mamma. I medici ci dicevano che sono cose lente, dove si fa un passo alla volta. E noi seguivamo l’evoluzione. Ma a un certo punto la sua mente si è persa, non sapremo mai perché».
In questi giorni tanti hanno espresso solidarietà alla famiglia, anche il sindaco Nicola Leoni. «Ma vogliamo funerali privati e riservati - annuncia Tiziana Iori - perché questa tragedia è anche un fatto famigliare, un dramma troppo grande per noi. E chiediamo comprensione e rispetto».