BELLUNO. Sono addirittura 500 le aziende in provincia di Belluno che direttamente o indirettamente si trovano ad affrontare le difficoltà dell’approvvigionamento delle materie prime e dell’aumento dei prezzi.
Confindustria Dolomiti Belluno ha organizzato il 15 aprile un webinar con Giancarlo Torlizzi, un esperto del settore, consulente di numerose industrie della provincia. «Siamo preoccupati come sindacato», anticipa Stefano Bona, della Cgil, «perché i problemi sono tali che fin dalle prime settimane di maggio potrebbe crearsi la necessità di cassa integrazione, a seguito del fermo produttivo in alcune manifatture».
La situazione degli approvvigionamenti è davvero tale da dover ricorrere alla cassa integrazione? Una risposta viene da Marco Nocivelli, presidente ed amministratore delegato di Epta Costan. «Io penso che la capacità di reazione che le persone hanno dimostrato dovrebbe evitare questa sfortunata ipotesi», dice. «Naturalmente non si può escludere che ci siano magari degli episodi puntuali relativi a un oggetto o a un componente. Ci sono ad esempio alcune componentistiche come i led che si mettono nelle lampade, che sono una banalità, normalmente non si va mai in rottura di stock. Ma se non ti arrivano le schedine elettroniche che vengono da Taiwan, non riesci a produrle».
Ma perché non arrivano le materie prime, l’acciaio in particolare? «Quello che notiamo», dice Nocivelli, «è che c’è apparentemente o speculazione o qualche cosa che sta succedendo a livello globale, perché i costi dei container che arrivano da Est, quindi dalla Cina in particolare e dai luoghi oltre Oceano, hanno subito un’impennata assolutamente incredibile e soprattutto un rallentamento di disponibilità».
«Una settimana fa dovevamo spedire dei mobili», fa un esempio Nocivelli, «e ci avevano assicurato che la nave che arrivava avrebbe raccolto i container. Dopodiché la sera in cui sarebbe dovuta sbarcare in Italia ha comunicato che tirava dritto e non si fermava. Perché, evidentemente, ci sono altri porti e altri signori che offrono un prezzo maggiore. E questo è dovuto, secondo un’analisi fatta anche da Confindustria, al fatto che nei porti i tempi di sbarco dei container sono molto più lunghi del normale. E questo sta provocando un innalzamento del costo dei noli: prima della pandemia un viaggio costava circa 4 mila dollari a container, durante la pandemia si era molto abbassato arrivando ai 2 mila, adesso parlano di 8 mila dollari, quindi un aumento del 100% nell’arco di qualche mese. Una cosa assolutamente inusuale».
Il rischio alla lunga qual è? Per Nocivelli è che «diventi meno competitiva la nostra produzione».
Il problema non riguarda solo l’acciaio. «Anche le plastiche», cita il presidente Epta. «In America i grandi produttori della materia prima sono rimasti bloccati per un mese e quindi per un mese non hanno prodotto quello che dovevano. Adesso, lentamente, la catena si sta ingolfando e a questo si aggiunge il blocco delle navi a Suez e quindi l’incrocio di tutte queste cose sta facendo sì che ci siano difficoltà di reperimento».
Come sta correndo ai ripari Epta? «Noi, in maniera precauzionale, all’inizio dell’anno avevamo cominciato una molteplicità di fonti di approvvigionamento. Ci siamo protetti avendo visto con le nostre aziende americane che il problema si stava ingrossando e quindi abbiamo cominciato in anticipo a cercare delle soluzioni ma devo dire che non è facile».
Ma c’è un rovescio della medaglia. «Molti cittadini con la pandemia hanno riscoperto la casa», dice Nocivelli, «e questo sta provocando l’aumento di possibili lavori. E dico possibili perché nella realtà fanno fatica a partire perché i cantieri sono un po’ bloccati da queste norme anti-Covid. Però appare chiaramente un trend in crescita importante che si può vedere bene anche dalla richiesta di aiuti al Governo, che è passata in un paio di mesi da 300 milioni di possibili aiuti ad un miliardo. Le aziende devono attrezzarsi per rispondere a questo incremento di domanda. Quindi, se da una parte siamo preoccupati per questa difficoltà a ritrovare la materia, dall’altra parte ci dà un po’ di speranza che almeno la parte lavorativa si sblocchi».
C’è poi c’è un altro fattore. «Da un mese a questa parte le aziende hanno capito che devono ampliare il loro numero di fornitori e questa potrebbe essere una buona notizia per i produttori locali perché sanno che esiste una domanda e se riescono, nell’ambito dei vincoli della pandemia, ad andare a trovare i possibili clienti magari hanno anche possibilità di ampliare il mercato». —