La censura cinematografica è stata abolita. Definitivamente, viene da dire, perché di fatto, nel corso dei decenni i provvedimenti più severi sono diventati sempre più rari.
Il 5 aprile il ministro della Cultura Dario Franceschini ha firmato un decreto che abolisce la censura cinematografica, che, secondo lo stesso Franceschini, archivia definitivamente «il sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti».
Attraverso il nuovo decreto, è stata istituita una nuova Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche.

Cosa cambia con l’abolizione della censura cinematografica

L’abolizione della censura cinematografica consiste principalmente nel fatto che la Commissione non potrà più vietare l’uscita di alcuni film nei cinema o imporre modifiche o tagli di scene.
Il decreto attuativo firmato da Franceschini, infatti, prevede un nuovo sistema di classificazione dei film destinati al cinema, che vengono divisi in quattro categorie:

  • opere adatte a qualsiasi tipo di pubblico;
  • opere non adatte ai minori di anni 6;
  • opere vietate ai minori di anni 14 (a 12 anni compiuti si potrà accedere con un genitore);
  • opere vietate ai minori di anni 18 (a 16 anni compiuti si potrà accedere con un genitore).

Di fatto, dunque, i film vengono etichettati, ma non possono più essere forzatamente modificati e la loro uscita nei cinema è comunque garantita. A proporre la categoria di ogni pellicola – se adatta a tutti o da vietare a minori nelle tre fasce d’età – saranno direttamente i produttori. A quel punto la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche potrà confermare la categoria suggerita o, eventualmente, proporne una diversa.

La Commissione istituita presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura è composta da 49 membri incluso Alessandro Pajno Presidente emerito del Consiglio di Stato e resta in carica per tre anni. Al suo interno ci sono sociologi, pedagogisti, psicologi, studiosi, esperti di cinema educatori, magistrati, avvocati, rappresentanti delle associazioni di genitori e ambientalisti.

Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti

Annie Girardot in una scena del film Rocco e i suoi fratelli (1960) con Renato Salvatori.

Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti
/ IPA

Nicola Borrelli, direttore della Direzione generale Cinema e Audiovisivo ha spiegato all’Ansa che entra in vigore «una sorta di autoregolamentazione» da parte di produttori e distributori, poiché saranno loro stessi «ad autoclassificare l’opera cinematografica», mentre alla Commissione «il compito di validare la congruità», entro un massimo di 20 giorni.

Questo sistema è valido per i film destinati alla distribuzione al cinema, mentre per le opere in streaming vige ancora il parental control. 

La storia della censura cinematografica in Italia

 La censura cinematografica italiana era stata istituita con il Regio Decreto n. 532 del 31 maggio 1914. Nel corso degli oltre 100 anni, il concetto stesso di censura e la sua applicazione nei film è cambiata molto, passando da severo controllo politico e sociale ad una revisione cinematografica, più propriamente amministrativa in funzione di tutela soprattutto dei minori, con una classificazione dei titoli in base a determinati temi (sesso, violenza, armi) non adatti alla visione da parte dei più piccoli.

Finora, prima del nuovo decreto, il sistema di censura cinematografica poteva intervenire nella revisione prima dell’uscita in sala, ma anche nel processo di realizzazione e, addirittura di ideazione e scrittura. Non per niente, alcuni autori come Fellini e Lattuada per Luci del varietà o Lizzani per Achtung! Banditi! che tentarono una via produttiva indipendente, furono poi puniti con il rifiuto parziale o totale da parte delle commissioni di censura.

La storia della censura cinematografica in Italia è ripercorsa e documentata nella mostra digitale CineCensura.com promossa dalla Direzione Generale Cinema realizzata dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografica e dalla Cineteca Nazionale. La mostra divide i casi di censura in quattro grandi temi: sesso, politica, religione e violenza. Soprattutto, raccoglie i materiali relativi a 300 lungometraggi e a 80 cinegiornali, ma anche 100 tra pubblicità e cortometraggi, 28 manifesti censurati e filmati di tagli.

I casi più eclatanti di censura cinematografica

Secondo una stima, da quando è entrata in vigore, la censura italiana ha bloccato 274 film italiani, 130 film americani e 321 da altri Paesi, su 34.433 opere. Un terzo del totale, 10.092 film, è stato invece ammesso dopo modifiche. 

Sono tanti i casi eclatanti di censura, come La spiaggia di Alberto Lattuada (1954) e persino Totò e Carolina di Monicelli (1955), che subì 82 tagli. Ancora, sottoposti a censura furono Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, La dolce vita di Federico Fellini, La ricotta di Pier Paolo Pasolini, per non parlare dei film hard dell'epoca come All'onorevole piacciono le donne con Buzzanca.

La dolce vita di Federico Fellini

Anita Ekberg La dolce vita di Fellini

La dolce vita di Federico Fellini
IPA / IPA

Due, probabilmente, sono gli episodi più famosi di accanimento della censura: il caso della condanna alla distruzione delle copie di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972), film poi riabilitato nel 1987 e il sequestro di Il pap’occhio di Renzo Arbore (1980) «per vilipendio alla religione cattolica», poi archiviato pochi anni dopo.

Tra i casi più recenti, c’è la pellicola Totò che visse due volte di Daniele Ciprì e Franco Maresco (1998), dichiarato «vietato a tutti», definito «degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell'umanità, offensivo del buon costume, con esplicito disprezzo verso il sentimento religioso» e contenente scene «blasfeme e sacrileghe, intrise di degrado morale». I registi vennero denunciati per vilipendio alla religione e tentata truffa, e solo dopo l’assoluzione in appello, il film fu distribuito al cinema.

Nel 2012, infine, Morituris, un «piccolo horror indipendente» Raffaele Picchio, fu bloccato dalla Commissione di revisione cinematografica «per motivi di offesa al buon costume» e poiché fu considerato «un saggio di perversità e sadismo gratuiti». Si tratta, dunque, dell’ultimo caso di censura cinematografica.

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