È uscito da pochi giorni Speed Demon, il nuovo video del rapper FN Meka, che ha già raccolto oltre un milione di "mi piace" su TikTok (no, non c'entra nulla con la canzone di Michael Jackson contenuta in Bad). Treccine verdi, diamanti incastonati nei denti, tatuaggi sul volto, abiti e accessori rigorosamente firmati, FN Meka ha già 9 milioni di follower e oltre un miliardo di visualizzazioni sul social network più amato dai giovanissimi.
Il brano, rappato in autotune con parole incomprensibili sopra una tipica base trap e una melodia simile a quella di un glockenspiel, potrebbe bissare il successo dei precedenti singoli Moonwalkin eInternet. Fin qui nulla di nuovo, tranne il fatto che FN Meka non esiste: o meglio, non esiste nel mondo fisico, ma soltanto nel web. Il rapper virtuale è stato creato con l'intelligenza artificiale dall'agenzia di intrattenimento Vydia, in collaborazione con la società di streetwear virtuale RTFKT. Un vero e proprio bot che, secondo i suoi creatori, «vive in una dimensione da qualche parte tra il mondo umano e il mondo virtuale». Qualche ulteriore dettaglio lo fornisce la sua biografia su Instagram, secondo cui «FNMeka è un rapper robot non accettato da questo mondo, noto per il suo stile stravagante e l'estetica Hypebeast. Ha le sembianze di un cyborg con i capelli e gli occhi verdi, molti tatuaggi e una mano d'oro. FN Meka abbraccia l'ambiguità di essere un influencer virtuale e la sua presenza sui social media si estende oltre i social media: nel 2019 ha pubblicato due canzoni rap». In pratica, possiamo dire che FN Meka è un collega virtuale di Chiara Ferragni, la cui funzione precipua è la sponsorizzazione di marchi celebri (tra cui console di videogiochi e catene di fast food) attraverso canzoni create attraverso la sola intelligenza artificiale, che, basandosi sui big data delle canzoni rap più in voga, riesce a creare autonomamente nuovi brani.
Uno scenario distopico, frutto dell'omologazione che domina la trap (da alcuni chiamato anche "mumble rap"), le cui canzoni si assomigliano un po' tutte per l'utilizzo delle stesse tecnologie, in primis autotune e drum machine Roland 808 campionata. Lo scorso anno ben 12 milioni di persone avevano assistito al concerto virtuale di Travis Scott (che, però, è un rapper in carne e ossa) su Fortnite, celebre videogioco di battaglia reale "free-to-play" che offre numerose modalità per ogni tipo di giocatore. In un video che è diventato virale su Youtube, Snoop Dogg, uno dei padrini del rap West Coast degli anni Novanta, ha spiegato bene il rischio di omologazione nella trap: «Una volta che una persona ha deciso di essere sé stessa, offre qualcosa che nessun altro può dare. Nessuno può essere te tranne te: mentre noi cercavamo di avere un nostro stile, oggi tutti rappano nella stessa, identica maniera». La trap oggi domina in lungo e in largo le classifiche basate sullo streaming, eppure la realtà è spesso imprevedibile, sfuggente e complessa, anche per l'intelligenza artificiale, che si basa, fondamentalmente, su un accurato calcolo probabilistico.
Un clamoroso esempio lo hanno fornito gli ultimi Grammy Award, in cui il premio come Miglior Album Rap dell'anno è stato vinto da King's Disease di Nas, il 13esimo album in studio del 47enne Nasir Jones, che ha vinto il suo primo "grammofonino" d'oro, dopo ben 14 nomination senza gloria, grazie a un disco che, per tecnica, profondità lirica e suoni, è agli antipodi con la trap di oggi. Una vittoria che nessun "big data" è riuscita a predire.
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