DALL’INVIATO A BEIRUT. Le hanno tolto il dispositivo elettronico dalla caviglia ed è potuta tornare nella casa di famiglia di Teheran, dov’era agli arresti domiciliari dalla scorsa primavera, dopo aver passato quattro anni nelle peggiori galere iraniane, compresa quella famigerata di Evin. Libera, ma non del tutto, e soprattutto con l’incubo di una convocazione in tribunale, domenica prossima. Nazanin Zaghari-Ratcliffe ha scontato tutta la sua pena, cinque anni, per accuse assurde di spionaggio e collaborazione con Paesi ostili alla Repubblica islamica. In realtà è finita in un ingranaggio infernale, pedina di scambio che i vertici iraniani vogliono usare per ottenere concessioni da parte della Gran Bretagna, soprattutto di tipo finanziario. E l’ingranaggio è ancora in piedi, la 42enne madre di una bambina di otto anni, sposata con un cittadino inglese, Richard Ratcliffe, rischia nuove accuse per “propaganda anti-governativa” e non può lasciare il Paese perché il suo passaporto britannico non le è stato restituito.
Il caso resta aperto e Londra è pronta a dar battaglia. “Sono lieto di vedere che la cavigliera elettronica di Nazanin Zaghari-Ratcliffe è stata rimossa, ma il suo continuo confinamento rimane inaccettabile”, ha commentato ieri sera su Twitter il premier Boris Johnson: “Deve essere rilasciata in maniera permanente per poter tornare dalla sua famiglia nel Regno Unito e continueremo a fare tutto il possibile per ottenerlo". Sullo stesso tono il ministro degli Esteri Dominic Raab, che ha insistito come il suo confinamento sia “inaccettabile”. Il marito ha confermato che subito dopo la liberazione la moglie era andata dalla madre iraniana, “determinata a godersi il primo pomeriggio in libertà”. Ma ha aggiunto che la situazione era ancora “poco chiara, fangosa” e di temere che “dopo un blocco ne arrivi un altro”.
Zaghari-Ratcliffe, 42, era stata messa ai domiciliari nel marzo dell’anno scorso, anche per via dell’epidemia di coronavirus che devastava le carceri iraniane. Era condannata nel marzo del 2016 a cinque anni di carcere dopo che era tornata con la figlia Gabriella in Iran per fare visita ai genitori. Era stata arrestata all’aeroporto di Teheran dai Pasdaran e accusata di “lavorare per organizzazioni ostili allo Stato iraniano”. La giovane era una collaboratrice delle ong Bbc Media Action e Thomson Reuters Foundation, e per questo considerata “sospetta”. Ma soprattutto era vista come una potenziale “pedina”, al pari di una dozzina di altri detenuti occidentali o con doppia cittadinanza. La sua liberazione a metà è stata giudicata da Amnesty International, nelle parole della direttrice britannica Kate Allen, “un esempio di crudeltà calcolata da parte delle autorità iraniana”. La partita a scacchi è ancora lunga e, come ha puntualizzato il marito, Nazanin è “un ostaggio, da usare come merce di scambio per ottenere la restituzione dei fondi iraniani bloccati in Gran Bretagna”. Sono almeno 550 milioni di dollari legati a una fornitura di tank. L’Iran nega ma il sospetto è forte.