FARRA. Collio terra di conquista. Ma, ça va sans dire, senza perdere la propria identità e specificità. La notizia dell’ingresso delle storiche cantine Jermann nel gruppo Antinori di Firenze, prima realtà privata del vino italiano e brand tra i più importanti e prestigiosi del mondo, ha innegabilmente sconvolto l’universo enoico del Friuli Venezia Giulia. Anche se, in realtà, non si tratta certo di una prima volta. Nel recente passato già altre aziende d’eccellenza dell’enologia di casa sono state cedute a realtà che operano su scala nazionale e internazionale.
Tralasciando i normali accordi commerciali con altre aziende, in principio furono i marchesi toscani de Frescobaldi a tracciare la strada dell’“annessione” su larga scala del Collio, acquistando le cantine Conti Attems di Capriva del Friuli.
Poi è stato il Giv – Gruppo Italiano Vini con sede a Bardolino del Garda, Verona – a puntare le proprie fiches sull’azienda Conti Formentini di San Floriano. Quindi il colosso del farmaco Angelini aveva acquisito Puiatti (ma resiste autonomo il marchio Villa Parens). E, infine, l’anno scorso la veneta Villa Sandi si è innamorata di Borgo Conventi. Il tutto mentre sul versante sloveno sono iniziate da tempo le grandi manovre: nel Brda ci sono i vigneron francesi di Domaine Leflaive dal Montrachet. Se sarà derby per l’egemonia – eccellenze italiane di qua, transalpine di là – lo si vedrà col tempo. Certo, esistono le strategie di mercato. E ciò che sta a cuore a tutti, dagli addetti ai lavoratori ai consumatori, è il mantenimento delle identità, della storia e delle peculiarità. Su questo il mondo dell’enologia sembra differente da altri settori del business: chi produce vino lo fa per una passione e una pulsione interiori che lo portano a rispettare il territorio che lo ospita, la terra e le sue caratteristiche.
Global come assetto industriale, ma local nello spirito e nelle tecniche di produzione. La perdita di identità è dunque scongiurata? Gli addetti ai lavori fanno notare l’effetto-stimolo: i produttori del Collio e il Consorzio di tutela possono (devono?) cogliere queste opportunità per promuovere meglio la qualità dei propri bianchi e fare squadra con i grandi nomi del vino mondiale. Perché il futuro è questo. Un’eccellenza come il Collio magari lo poteva fare autonomamente.
Quanto a Jermann, si apre un nuovo capitolo, quindi, per l’impresa fondata nel 1881 da Anton Jermann, emigrato da Bilijana, oggi Slovenia. Jermann è tra le principali etichette a livello internazionale, anche grazie al suo ormai leggendario Vintage Tunina, vino che ha consacrato il marchio tra le eccellenze enoiche italiane, intuizione di quel Silvio Jermann che sulle orme di papà Angelo ha non solo tenuto viva, ma innovato e internazionalizzato l’azienda di famiglia. Un’azienda oggi con una produzione da poco meno di un milione di bottiglie, per la quasi totalità bianchi. Il marchio Antinori, che la controlla nella maggioranza delle quote, si troverà fra le mani una Ferrari: Jermann si estende su 200 ettari, di cui 160 adibiti a vigneto e 20 ettari a seminativi, con zero uso di fertilizzanti, residui chimici e pesticidi.
I vigneti sono sparsi in tre zone principali: sulla pregiata collina di Ruttars, sui terreni sassosi dell’Isonzo a Villanova di Farra, dove ha sede l’antica cantina; e una terza cantina è stata costruita attorno ai vigneti di Ruttars, dotata delle più moderne tecnologie e progettata esclusivamente per la vinificazione del Capo Martino e Vignatruss, del Where Dreams e del Vintage Tunina. Presenze fisse nelle migliori guide italiane. Dall’altra parte, Antinori aumenta il controllo sui grandi brand del vino, dopo aver acquisito Tenuta Tignanello, Badia a Passignano, Pèppoli, Antinori nel Chianti Classico, Pian delle Vigne a Montalcino, Tenuta Guado al Tasso a Bolgheri... Da contare anche gli affari oltreoceano, come Antica e Stag’s Leap Wine Cellars in Napa Valley, in California. Ma anche su questo la nuova “consorella”, Jermann, già non temeva confronti.