TREVISO. «Stupefacente, sono cose che lasciano quai senza parole», si lascia sfuggire Gian Paolo Gobbo, padre della Liga. Lo sceriffo Giancarlo Gentilini prova per una volta a fare il diplomatico: «Non voglio pensare che a una disattenzione, a un ’iniziativa assunta in totale buonafede, senza pensare alle conseguenze. Perché altrimenti dovrei pensare e un’azione a morale o immorale, un amministratore deve avere sempre le mani pulite, e restare coerente con la sua morale, qui stiamo parlando di una senatrice che prende poco meno di 15 mila euro al mese. Lo sanno tutti, a suo tempo mi avevano offerto di tutto e di più, posti a Venezia, a Roma, anche in Europa, ho sempre rifiutato per stare vicino al mio popolo. E credo avrei vinto senza problemi ovunque...».
Il caso Fregolent continua deflagrare nella Lega trevigiana, al di là del piano locale e comunale. E a suscitare reazioni a tutti i livelli, anche fra i colleghi deputati e senatori, i primi ad essere sconcertati. Dopo il caso Barbisan (e come lui Forcolin e Montagnoli, anche se poi il primo, vice di Zaia uscente la scorsa estate, non ha mai ricevuto nulla), un’altra richiesta di fondi pubblici da parte di un big con adeguato stipendio - 15 mila euro mensili dei senatori sono quasi il doppio degli 8.800 dei consiglieri regionali - ma non altrettanta “misura”, prima ancora di entrare sul piano strettamente politico.
Sarà perché la Lega trevigiana è consapevole di essere più di un riferimento a livello regionale e per il resto del partito, non fosse altro per il titolo di prima provincia leghista d’Italia.
Il padre nobile Gobbo si spinge anche più in là: «Non farei un dramma del fatto che non ci sia un sottosegretario veneto nel governo Draghi, sono cose che possono succedere e fanno parte dei cicli della politica, ma sono molto più colpito dal fatto che nostri esponenti agiscano come se non di rendessero conto degli effetti delle loro azioni, e non fossero consapevoli della portata di quello che fanno di fronte ai cittadini ma anche sul piano politico e sul piano della distinzione fra i tuoi soldi e quelli pubblici».
E poi alza il livello della sua analisi «Dovremo forse fare una riflessione anche in Lega, è chiaro che manca il partito o meglio una dinamica “naturale”del partito, non si può andare avanti per troppo tempo con i commissariamenti, va ripristinata una fisiologica dialettica all’interno di strutture che vedano i militanti protagonisti delle scelte».
Parole che potrebbero pesare come macigni, in una Lega trevigiana e veneta mai così forte - anche per il boom di Zaia - ma mai così agitato al suo interno. E che trovano conferma in molti malesseri anche di militanti storici, che stanno esprimendo perplessità, dubbi e disagi ai big, agli antichi leader delle diverse anime (prima o poi la Lega dovrà accettare la nascita delle “correnti”).
Un po ovunque c’è preoccupazione. In alcune sezioni, dice Radio Lega, si ironizza sul “partito degli ingordi” e su quello dei “benefattori con i soldi pubblici”. E a sentire Fulvio Pettenà, uno degli esponenti vecchio stampo, ancorato agli uomori di piazze e osterie, il contraccolpo della base è forte: «Queste sono figuracce che finiscono per danneggiare la Lega, una senatrice che chiede un bonus di 240 euro come ristoro per i centri estivi è semplicemente anti-Lega», dichiara, «Non vorrei che il ponentino di Roma, come già avvenne dopo il 1994, abbia fatto perdere ai parlamentari il senso della realtà e il contatto con quello che vivono i loro elettori tutti i giorni, soprattutto in questo periodo di emergenza drammatica».
E chiede al partito la massima attenzione: «Ora siamo al governo con quasi tutti gli altri partiti, già non possiamo più dire “ma noi siamo diversi”, se poi succedono casi come questi finiamo davvero per essere come tutti gli altri. E c’è il partito delle Meloni che non aspetta altro che raccogliere scontenti e delusi anche dal nostro fronte...». —
