Deve portare ai giudici l’ok dei creditori: il dialogo con le banche e l’arrivo di un finanziatore (ma anche siluri ed esposti)
LIVORNO. A questo punto il fattore tempo diventa l'arma strategica nel risiko sul destino di Moby e dell'intero gruppo della famiglia di Vincenzo Onorato, ora guidato dal figlio Achille in tandem col fratello Alessandro: a fine marzo si tireranno le somme di fronte al tribunale di Milano per capire se sta in piedi il piano di salvataggio che riguarda uno dei principali operatori made in Italy (e uno dei soggetti di maggior rilievo all’interno del sistema di porti di Livorno e Piombino). E stiamo parlando di un pacchetto di indebitamento che, misurato a spanne, vale 300 milioni di euro con il bond della Borsa lussemburghese al 7,75% con scadenza 2023, ammonta a non molto meno l’esposizione delle banche mentre i commissari di Tirrenia in amministrazione straordinaria chiedono il pagamento di una cifra attorno ai 180 milioni.
Risulta però che in quest’iceberg di debiti ci sarebbero segnali positivi tanto dalle banche che dai fornitori come pure dai commissari di Tirrenia che hanno da riscuotere le rate della privatizzazione (rimaste congelate in un contenzioso con Bruxelles, di recente sbloccato proprio nel bel mezzo delle disavventure finanziarie del gruppo). La controprova è la lettura in controluce dell’ultima nota ufficiale della Onorato Armatori: da un lato, «smentisce categoricamente di aver citato in giudizio alcun istituto di credito» (con i quali invece «è in corso un dialogo costruttivo»); dall’altro, conferma di aver «depositato delle citazioni» che riguardano la controproposta «ricevuta da alcuni hedge found e direttamente da persone fisiche rappresentanti di non meglio identificati soggetti».
Il contrattacco
Il quotidiano confindustriale Sole 24 Ore fa riferimento a due esposti: in quello alle autorità britanniche si segnala una ipotesi di sospetto “insider trading”, cioè l’utilizzo di informazioni riservate compiendo operazioni di compravendita in una fase “congelata” con l’accordo di “standstill”; in quello all’ente vigilante statunitense si dice che la posizione degli “hedge fund” è «lesiva della compagnia e degli altri creditori».
Questa è l’ultimissima mossa in una partita a scacchi con la reazione della dinastia armatoriale che sembra puntare a spaccare la trincea delle controparti. Ma tenendo la porta aperta a «una composizione consensuale anche con i fondi citati in giudizio» che al momento hanno contrastato l’accordo sulla ristrutturazione del debito messo in piedi da Moby.
Dietro il no dei fondi
Perché si oppongono? Può esserci una tattica negoziale, visto che quanto più si avvicina la scadenza del tribunale tanto più Moby deve portare a casa il risultato. È ovvio che la compagnia della Balena Blu sia la principale controinteressata ma resta da capire se il pressing invece non sia soprattutto nei riguardi di Europa Investimenti, la controllata italiana di Arrow Global Group Plc, un fondo di Manchester che si occupa principalmente di società alle prese con un forte stress finanziario. I fondi “hedge” all’attacco vogliono che il fondo di Manchester tiri fuori ben più quattrini per pomparli dentro Moby: troppo comodo limitarsi a una cifra (30 milioni?) che è protetta da navi a garanzia per un importo più che doppio, condizione tanto favorevole perché in cambio gli Onorato mantengono tutte le leve dell’azienda.
Proprio il potere nella plancia di comando del gruppo era stato al centro di uno dei precedenti attacchi dei fondi speculativi: volevano spingere gli Onorato a un ruolo più defilato ma per avere loro più peso specifico nella società. Solo che a quel punto bisogna vedere se gli altri creditori accetterebbero di mettersi a ruota o, al contrario, non avrebbero il timore di pagare il prezzo delle logiche proprie dei fondi speculativi: è quest’ultimo un aspetto sul quale gli Onorato hanno insistito spesso.
Cosa pesa sui conti
Nel frattempo sui conti del gruppo armatoriale pesa anche qualcos’altro. Ad esempio, l’uscita dalla convenzione della continuità territoriale: dava a Tirrenia un pacchetto di 70 milioni di euro per garantire comunque i collegamenti fra Sardegna e terraferma, gli Onorato ricordano sempre di averla ereditata acquistando l’ex compagnia pubblica Tirrenia (va detto anche che l’ultimo timbro era stato messo il giorno prima del passaggio di mano). Non basta: c’è anche l’effetto Covid che paralizza le prenotazioni dei traghetti da parte dei turisti perché temono di comprare il biglietto magari per una data in zona rossa (ed è per questo che la compagnia ha deciso di consentire che, in caso di emergenza, si possa spostare la data del viaggio senza perdere i soldi). Di più: azzerate le crociere e dimezzati i traghetti passeggeri, è una mazzata per Porto 2000, acquisita da Onorato con Msc grazie alla privatizzazione nell’ultima grande operazione di espansione del gruppo.
Passano i giorni e di tempo per negoziare non ce n'è mai abbastanza di fronte all'indebitamento di queste proporzioni nel bel mezzo di una pandemia (che ovviamente ha ridotto i ricavi in modo drastico a una società che si basa sulla voglia di muoversi e viaggiare). Al tempo stesso, proprio la straordinarietà della situazione potrebbe suggerire al tribunale di Milano di non esser troppo pignolo o formalistico di fronte alla scadenza di fine marzo. In effetti, è vero che le stesse novità nella disciplina fallimentare mettono al centro il tentativo di rimettere in piedi le aziende: non si dimentichi però che i termini sono già stati prorogati e che la presidente del collegio, giudice Alida Paluchowski, aveva respinto con asprezza l’istanza fallimentare dei fondi speculativi nell’autunno 2019 fa ma parimenti non era stata tenera con la conduzione della società degli Onorato. —
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