Sì, chiamiamole con il loro nome: sono le nuove schiavitù. È il lavoro che si fa cottimo, che è sottopagato, che non ha garanzie. È l’ascensore sociale precipitato nel sottoscala dei diritti negati. È la crisi che miete vittime fra i più deboli e che in troppi guardano con massima indifferenza.
Nella settimana in cui si è celebrato il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, quello della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, chi ha avuto la voglia di cercare di capire si è reso conto che anche allora era l’indifferenza il sentimento prevalente. Sparivano ebrei, omosessuali, disabili, oppositori del regime fascista e non si sapeva dove sarebbero finiti. Ma i più volgevano lo sguardo dall’altra parte. E, più o meno inconsciamente, tiravano un sospiro di sollievo perché non era toccato a loro.
Per carità, oggi il livello del problema fortunatamente è diverso ma il crimine sociale di fronte al quale in troppi fanno spallucce è ugualmente pesante. La settimana che si è appena conclusa ci ha offerto molti spunti in questo senso. Mercoledì scorso, proprio nel Giorno della Memoria, l’inserto “Toscana Economia & Lavoro” ha offerto più di un elemento di riflessione.
Cominciamo da quello più inquietante, rappresentato da un’inchiesta fra i cosiddetti “rider”, in italiano fattorini, ma – si sa – parlare straniero aiuta a mistificare. Come ci insegna quell’orribile riforma che Matteo Renzi definì “jobs act” per spacciarla come modernità e che invece nascondeva anche il chiavistello per aprire le barriere contro i soprusi.
Loro, i fattorini, sono perlopiù ragazze e ragazzi che per pochi spiccioli vengono a casa a portarci il cibo che ordiniamo nei ristoranti. Le loro catene da prigionieri della povertà sono quelle di poche centinaia di euro al mese che non mettono insieme neanche il pranzo con la cena. La loro è sopravvivenza che diventa oltraggio all’umanità. Restano incollati allo schermo di uno smartphone per cliccare per primi sul tasto di una chiamata che arriva attraverso una app. In un Paese realmente civile chi impone condizioni di lavoro come queste dovrebbe essere dichiarato fuorilegge e come tale trattato. Invece oggi questa schiavitù passa per essere normale. Perché la politica è in perenne ritardo, ormai sforna solo legislazioni di emergenza, non anticipa, non previene. E il cittadino è sempre più suddito di questi apostoli dell’incapacità.
Così vien da pensare che l’ascensore sociale possa presto precipitare anche più in basso rispetto alla cantina dei diritti negati. Per restarci a lungo. Perché oggi i nuovi poveri si trovano sempre di più nella melma di lavori mal pagati, sono donne e uomini costretti ad aprire partite Iva per mestieri che fino a non molto tempo fa erano retribuiti con veri stipendi. Ed è di questi che ci si occupa poco, si fa quasi finta che non esistano. Sono persone che hanno pagato più di altre il peso dell’emergenza, che si sono viste riconoscere solo elemosine sotto forma di indennizzi tardivi.
Sono i terzultimi o i penultimi che precipitano in coda alla fila. Sono sempre di più e la speranza, per loro e per tutti gli altri, viene ancora dall’inserto “Toscana Economia & Lavoro” di mercoledì scorso. Poche pagine prima ci sono anche storie di altre aziende molto più serie, ad esempio quelle delle griffe; tutti i big della pelle investono e creano lavoro. Qui l’innovazione è riuscita a superare gli ostacoli della crisi, la pandemia ha solo frenato la crescita. Non è tutto splendore ma è uno scenario di speranza.
In Toscana qualche spiraglio si vede. Quasi sempre legato a eccellenze o prodotti del lusso, come ad esempio la cantieristica dei megayacht, grazie ad aziende che non hanno ceduto alla tentazione di piangersi addosso quando il primo blocco da coronavirus aveva fatto vacillare più di qualche certezza.
Hanno deciso di guardare oltre, di cercare spiragli e in pochi mesi le prospettive si sono rovesciate. Ci sono commesse a lungo termine, ci sono anni di lavoro sicuro e tanti soldi che da lontano pioveranno su questi lidi. E che si metteranno in circolo per tutti. Ci sono migliaia e migliaia di posti di lavoro pregiati, che danno speranza e non intaccano i diritti, la sicurezza dei lavoratori.
Eppure, qualche anno fa, quando questi cantieri di eccellenza nascevano sulle ceneri di devastanti fallimenti c’era una parte dell’intellighenzia di sinistra (una sorta di Lobby di Capalbio portata più a nord) che osteggiava questo mondo fatato, ancorata al concetto di denaro come sterco del diavolo. La miopia politica, purtroppo, non è esclusiva dell’oggi e di una sola parte.
Ma adesso pesa ancor di più in aree di crisi che nascono decenni indietro. Dove si è pensato che tutto fosse scontato, che i sussidi dovessero essere dovuti ed eterni. Dove ci sono specialisti degli annunci falsi e illusori. Dei piani con scadenze che si spostano come pedine del Monopoli. Dove vincono sempre questi ciambellani di corte e perdono quelli che ancora credono alle loro favolette.
Sì, le istituzioni ci hanno messo del loro, anche con tagli alla sanità fatti in modo triviale dalle Regioni (tutte). Tagli quasi obbligati sulla base di altri tagli decisi dal governo centrale. Ma il bello che oggi a pontificare sui rimedi per restituire a piccoli ospedali punti nascita che ormai sono stati cancellati, ci sono consiglieri regionali che quantomeno si sono voltati dall’altra parte quando nelle stanze vicine alle loro, colleghi dello stesso partito decidevano in tal senso.
Sì, è quasi sempre una storia di voltarsi dall’altra parte, di non capire o far finta di non capire, di scegliere come bussola solo la logica perenne della campagna elettorale. A partire da quella che si gioca intorno all’attuale trattativa per formare un nuovo governo. Le liturgie del potere per il potere prevalgono sui bisogni dei cittadini. Va così: l’ego ipertrofico di pochi prevale sugli interessi collettivi.
E là fuori tutti guardano, magari si lamentano ma poi tornano sui social per il festival dell’insulto all’avversario. E a suon di perdere il senso del rispetto per gli altri, ormai i più lo hanno perso per sé stessi. Sì, sono come lo stolto che guardava il dito puntato sulla Luna e non la Luna. Il vero problema è che quelli così sono comunque troppi e per batterli c’è solo una strada. Far percepire la loro insipienza, non arrendersi e ricordarglielo ogni giorno. Per fortuna ci sono lodevoli eccezioni. Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, venerdì a Bologna nel corso di un convegno organizzato dalla nostra società editrice per parlare del ruolo dell’informazione, ha puntato decisamente il dito sui tempi delle risposte della politica. Ha detto chiaro e tondo che un indennizzo che arriva tardi di fatto è una non risposta.
Sono segnali di consapevolezza che aiutano, purtroppo spesso isolati e comunque circoscritti a livello di amministrazioni regionali o comunali. Al governo centrale, dopo l’ottima gestione della prima emergenza sul piano del contenimento dei contagi, il potere è stato conquistato dall’Ufficio complicazioni. Per qualsiasi procedura è andata così: da quelle dei rimborsi alle categorie più colpite al cashback (chiamarlo bonus bancomat sarebbe stato troppo semplice), in molti sono stati costretti a rinunciare per evitare slalom fra procedure complicate e documenti da allegare.
Al prossimo governo suggerisco di creare un dicastero del Cittadino, composto da un ministro e tre sottosegretari che ogni giorno dovranno andare là fuori per testare personalmente le misure varate. Non è detto che funzioni, ma sarebbe un segnale di attenzione, di rispetto. Proprio per questo so bene che non lo faranno.