MASSA.Raccoglie le gambe al petto. E piange. Senza filtri, senza imbarazzo. Con quelle lacrime festeggia il suo compleanno. Con quel pianto spontaneo e pieno di cose non dette ringrazia i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari. Chi ogni giorno lo assiste, lo aiuta, chi cura il paziente e sostiene l’uomo.
È su un letto di ospedale, al Noa, reparto Covid, setting B e per lui è un giorno speciale, uno di quelli in cui chiami a raccolta parenti e amici, cucini il piatto che ti viene meglio, pranzi tra la confusione. Il compleanno. E Paolo non può festeggiarlo, non come gli altri anni. Ma che quello sia per lui un giorno diverso, lo scopre qualcuno dell’equipe di reparto: dà un occhiata all’anagrafica e si accorge che c’è da festeggiare qualcuno nel setting B. Dura fare la torta, ma spegnere una candelina, beh quello si può fare.
Entrano insieme, in tanti nella stanza, dentro la tuta, sotto maschera e visiera. E quella luce di candela fa già festa da sola, i cori “tanti auguri”, gli applausi. La dottoressa Anna Todisco, coordinatrice infermieristica del setting B, riprende tutto quanto e lo pubblica sulla sua pagina Facebook. Racconto di vita, dell’impegno continuo perché l’umanità del paziente rimanga tutta, inalterata. Perchè l’uomo non sia piattamente identificato con la malattia. È quella di Anna la voce narrante del video, è lei a chiedere quanti anni compie Paolo, ad invitarlo a spegnere la candela. È lei ad incoraggiarlo: «Dai, forza, forza - gli ripete - che fra poco si va a casa». E quella candelina, quel video diventano messaggio di speranza. Per chi, malato, conta di farcela, per chi, sanitario, il Covid lo affronta ogni giorno. E a volte lo vede vincere. Un video che invita a pensare ad un reparto Covid meno grigio, umano ed umanizzato: «Purtroppo - il pensiero della dottoressa Todisco va a chi sta male - ci sono pazienti che non sono coscienti, ma ci sono anche persone lucide, che ci vedono e riconoscono, che interloquiscono con noi. Abbiamo saputo che era il compleanno di un paziente e abbiamo pensato fosse giusto regalargli qualche minuto di gioia».
La persona prima di tutto. Sia quando è il paziente, sia quando è il sanitario: «Io i miei ragazzi - Anna Todisco li chiama così perché si sente una “chioccia” - li riconosco anche senza leggere il nome scritto sulla tuta. Vedo solo i loro occhi, ma da quelli li identifico e comprendo il loro stato d’animo. Sono spettacolari». Lo sono anche quando pensano a far spegnere una candelina per dire “sappiamo che è un giorno speciale per te, non sei solo”. E lui, 67 anni e il Covid ad averlo messo ko, chiede una foto e piange: «Le sue lacrime - confida Anna - hanno dato tanta forza a tutti noi. La sera, con il tablet, videochiamiamo le famiglie dei pazienti in grado di interloquire, cerchiamo di mantenere vivi i contatti familiari, ma sapevamo che lui, nel giorno del suo compleanno, era solo e abbiamo dato un segnale di presenza e vicinanza».
Lavorare in un reparto Covid è durissima perché «si corre, la frenesia è tanta e tante le emergenze. Lo stato di salute del malato Covid - spiega Anna - può cambiare rapidamente, però anche tra tanta attività e sotto pressione, per noi è fondamentale che il paziente rimanga sempre al centro». Che senta di contare, di valere, di essere.
Una candelina, un applauso, un “tanti auguri”, un desiderio da esprimere perché la vita rimane, tra tanto dolore, rimangono ricordi e occasioni: «Nel setting B che io coordino - racconta Anna Todisco - i posti letto sono 48 e purtroppo sono sempre pieni, però - è la sua volontà di dare un messaggio di speranza - vediamo anche le persone tornare a casa, guarire».
La dottoressa Todisco il Covid lo conosce da quando si è fatto vedere le prime volte, ha continuato a lavorare con i pazienti positivi anche questa estate, quando il virus ha allentato la presa: «Non ho mai lasciato il reparto Covid, neppure questa estate quando i pazienti erano ospitati nella cosiddetta bolla con 18 letti, poi i contagi sono aumentati. All’inizio la sensazione è stata di sconforto, poi ha vinto la nostra resilienza, l’impegno e la forza di tutti i lavoratori, il gioco di squadra. Adesso per molti non siamo più eroi, c’è chi ci accusa addirittura di creare un’emergenza che non c’è, qualcuno ha visto il mio video sui social ed ha commentato che è vergognoso, insinuando che sottraiamo tempo ai malati. Non è certo così, abbiamo concesso un minuto di gioia ad un paziente e mai trascurato gli altri. La mia intenzione era far emergere che, nonostante tanta sofferenza e fatica, rimane il nostro spirito di umanità». Rimangono i compleanni, le lacrime. E i desideri da esprimere. —