LUCCA. Rimarrà comunque in prima linea. Non più al pronto soccorso dell’ospedale San Luca ma sul territorio, come medico di base. A quasi 60 anni, 25 dei quali passati a tu per tu con l’emergenza, il dottor Antonio Scanavacca ha deciso di lasciare il lavoro in corsia e di cambiare vita “lanciandosi” in quella che lui stesso definisce «una nuova avventura». E ieri sera alle 20 ha concluso il suo ultimo turno al pronto soccorso. Un piccolo rinfresco con medici, infermieri e operatori socio sanitari e l’augurio per un nuovo inizio nel ruolo di medico di base, che “assumerà” ufficialmente il 1° dicembre in due ambulatori: uno a Ponte a Moriano e l’altro a Ponte San Pietro. Poi, all’uscita dall’ospedale la scritta “Ci mancherai” e un grande applauso che l’ha fatto commuovere.
«Purtroppo avremmo voluto festeggiare con tutto il personale del pronto soccorso - dice Scanavacchia - ma il Covid ci ha impedito anche questo. Oggi (ndr, ieri) per me è l’ultimo giorno al San Luca. Ma è dal 1999 che lavoro a Lucca: prima ero al Campo di Marte dove sono arrivato quando era primario il dottor Marco Rossi. Ho cominciato lavorando nelle ambulanze tra Montecatini e Pescia e per la maggior parte della mia carriera sono stato medico del pronto soccorso. So che mi mancherà l’adrenalina ma d’altronde è come il calciatore che gioca in serie A: non può farlo per tutta la vita...». Medico internista, Scanavacca ha origini piemontesi e dopo 5 anni passati a lavorare sulle ambulanze e una breve parentesi nel reparto di Medicina di San Marcello capisce che la sua strada è quella del primo soccorso che lui stesso definisce «come una droga».
«Il pronto soccorso lo odi quando ci sei, non lo tolleri più, senti che ti fa star male - dice Scanavacca che ha scritto un lungo post su Facebook per “salutare” il San Luca - che ti rovina la vita, ma dopo poco tempo lo vai a ricercare perché non sai starne senza, e anche quando non sei in ospedale, in un modo o nell’altro, il tuo pensiero è lì. Arrivi stremato a fine turno ma con la sensazione di non aver sprecato nemmeno un minuto del tuo tempo. Però ho deciso di lasciare - aggiunge - perché questo non è un lavoro che puoi fare per tutta la vita. Io ho quasi 60 anni: mi è capitata l’occasione di diventare medico di base e ho accettato. Provare qualcosa di nuovo è uno stimolo e spero di avere una vita più tranquilla perché ultimamente la carenza di personale si è fatta sentire. Il lavoro è diventato sempre più pesante e il Covid ha peggiorato le cose. La decisione di andar via l’ho presa prima dello scoppio dell’epidemia ma adesso è ancora più dura e dovendo lavorare per altri 10 anni a questi ritmi non ce l’avrei fatta. Spero di riuscire a fare il medico di base con soddisfazione e soprattutto di instaurare con i pazienti quel rapporto umano che spesso in pronto soccorso non fai in tempo a creare data la frenesia dei ritmi».
Ma non per questo è facile andare via chiudendosi la porta alle spalle. Restano i ricordi, i rapporti con i colleghi, la gioia di una vita salvata e il dolore di una persa sapendo di aver fatto il possibile. Che non ti abbandona.
«Al pronto soccorso del San Luca ho visto arrivare e morire mio padre mentre ero di turno - racconta - qui ho dovuto dare a dei genitori la notizia della morte della loro figlia o ai figli la notizia che il loro genitore non ce l’avrebbe fatta. È il luogo di lavoro dove tasti con mano l’amore fra le persone e le miserie umane, morali e materiali. Del pronto soccorso mi mancherà anche la complicità con il personale sanitario: qui non c’è il medico sul piedistallo, qui ognuno dà il suo contributo. Il destino di un medico del pronto soccorso è quello di salvare le persone ma quasi mai di essere ringraziato per averlo fatto. Ma non è questo che mi manca, con il tempo ho imparato a trovare la soddisfazione in me stesso. Il medico del pronto soccorso non lo si fa né per denaro né per riconoscenza, lo si fa e basta e questo ti insegna a godere delle soddisfazioni che solo questo lavoro ti sa dare».
Per quanto riguarda invece l’organizzazione del pronto soccorso del San Luca, Scanavacca sostiene che un modo per alleggerire il carico di pazienti sia potenziare gli altri ambiti della medicina territoriale. «Mediamente in un turno un medico risolve dai 10 ai 15 casi - dice - una volta un medico del pronto soccorso ricoverava e punto mentre oggi il lavoro è più complicato. Richiede competenze di vario genere, in tutte le branche della medicina e il paziente deve essere inquadrato prima. In più il pronto soccorso è visto come l’istituto che deve dare una risposta a tutto: tutto si riversa lì, il fabbisogno clinico e il fabbisogno sociale. Si cerca di fare il possibile ma non sempre ci si riesce». Intanto i medici strutturati in pronto soccorso sono sempre meno.
«Al San Luca sono cinque o sei - dice - ci sono medici convenzionati, medici assunti a contratto per l’epidemia Covid ma gli strutturati sono pochissimi. Le esigenze però sono aumentate, serve più personale di prima. Il medico del pronto soccorso lo fai se ti piace, chi lo fa controvoglia dura poco». Dal 1° dicembre dunque il dottor Antonio Scanavacca sarà un medico di base. «C’è il dottor Alessandro Romboli che va in pensione - conclude - e quindi prenderò qualche suo paziente. Lavorerò in due ambulatori: uno a Ponte a Moriano e uno a Ponte San Pietro. Poi la gente un po’ mi conosce e spero che mi apprezzi». Qualche giorno di ferie quindi e poi, si ricomincia. Comunque, sempre in prima linea. —