CARPI «Le ultime due settimane sono state molto intense: abbiamo dovuto raddoppiare i turni. E, negli ultimi giorni, sono di più i casi che chiudiamo rispetto a quelli che apriamo».
Laura Pinotti, 27 anni, di Carpi, conosciuta anche come capo scout a Santa Croce, a poco più di un anno e mezzo dalla laurea in Medicina a Bologna ha provato l’impatto con una pandemia mondiale. Laura fa parte delle Usca, ossia delle unità di medici che portano l’ospedale a casa dei pazienti Covid e sono in grado di effettuare anche ecografie a domicilio.
«Lavoro sul territorio come guardia medica, o nelle sostituzioni dei medici di base, o, ancora, nel servizio Usca, come negli ultimi mesi- prosegue Laura - È un tipo di lavoro che cambia ogni giorno e forma tanto. Sono arrivata all’Usca verso maggio. Durante la prima ondata di contagi ho sostituito una dottoressa che si era ammalata negli ambulatori medici di base del territorio».
«Non mi sarei mai aspettata di dover affrontare una pandemia mondiale dopo la laurea, certo, non si poteva prevedere - aggiunge - La prima ondata è stata molto intensa: i pazienti ammalatati erano tanti. Io staccavo dal turno di notte alle 8 e, a quel punto, iniziavano le 12 ore di reperibilità diurna. In quei momenti ho imparato a portare l’emergenza nella mia quotidianità».
Poi con l’ingresso nell’Usca, Laura ha dovuto imparare le tecniche per approcciarsi ai pazienti. Prima fra tutte quella della vestizione. «È un procedimento molto laborioso, all’inizio, poi avviene una meccanizzazione dei movimenti, che ora faccio in automatico - continua la dottoressa - I primi tempi ci hanno fatto affiancare dagli infermieri della domiciliare, più esperti sotto questo aspetto. Il lavaggio mani tra un movimento e l’altro è fondamentale. Particolarmente insidioso, poi, è stato il periodo fra luglio e agosto, quando arrivano i 40 gradi e il caldo si fa sentire... Così come quando arriva il freddo: spesso ci cambiamo in strada, prima di entrare nelle case e sotto siamo in maniche corte».
Tante sono le esperienze a contatto con le persone. «Come un paio di settimane fa - dice Laura - C’era qualcosa che non tornava nell’anamnesi di un paziente. Lui ci diceva: “Sono solo in affanno, ma sto bene”. In realtà, visivamente emergeva qualcosa che non andava. I suoi valori si sono rivelati pericolosi e da una situazione apparentemente tranquilla è partita, invece, una chiamata di emergenza al 118». L’Usca, inoltre, fa molti monitoraggi telefonici. «Noi facciamo dalle 25 alle 30 chiamate al giorno - evidenzia la dottoressa - Succede che i pazienti che iniziano a migliorare ci chiedano come stiamo, perché, dicono, “voi vi interessate di noi, ma chissà se qualcuno lo fa per voi”. A volte, poi, facciamo le prove di sforzo: un giorno ho chiesto a un cinquantenne di alzarsi 15 volte dalla poltrona. Lui ha risposto, scherzando, “dottoressa, allora non mi serve più un medico Covid, ma un ortopedico”. Certi pazienti ci riconoscono l’umanità e chiedono di risentirci. In un caso abbiamo quasi “adottato” una famiglia, aiutandola ogni giorno». Laura ha imparato ad affrontare situazioni in cui «non esiste un’unica strada di uscita, mettendoci più positività possibile. Dove non può arrivare la medicina, arriva l’umanità. Vorrei dire un’altra cosa, infine. A Carpi, nell’Usca, siamo una decina e quasi tutti hanno la mia età: siamo giovani e abbiamo voglia di far bene». —